Sarebbe bello avere un po' di silenzio. Non tanto e non per sempre. Solo una manciata, adesso che si sta per partire verso un'avventura dove ci si gioca il futuro. Il silenzio per dire: abbiamo capito. Non è più tempo di mal di pancia e di sguardi fissi sull'ombelico. Il silenzio per concentrarsi un attimo sulla sfida, il silenzio per non sparare cavolate. Immaginate un solo giorno con la politica che pensa, e magari sogna, ma non ha fretta di svelare come vorrebbe il vestito di Draghi. Nessuno che sta lì a rivendicarne l'anima o lo sguardo, a rammaricarsi perché si è in troppi o a spiegare con disprezzo o imbarazzo perché gli è toccata la sventura di sedersi allo stesso tavolo di quelli là. Nessuno che mostra la figurina di un possibile ministro, di solito buono per qualsiasi stagione. Non sarà così, perché in troppi faticano a dare retta alle parole di Mattarella. Questo governo non è una trattativa. È una atto di fiducia. È una carta speciale, da giocarsi perché in questo momento non ce ne sono altre. L'alternativa, che il Quirinale vorrebbe evitare, è solo il voto. Allora c'è poco da dire. Bisognerebbe ascoltare e poi decidere se starci oppure no. Non spetta ai partiti questa volta indicare la strada e immaginare un futuro, anche perché quando ne avevano la possibilità non lo hanno fatto. Non serve neppure fare tifo per questo o quel ministro, come si è lasciato sfuggire il professor Walter Ricciardi: «Se il governo che sta per nascere sarà politico-tecnico, ci sarebbe la necessità di non cambiare il ministro. Speranza si è speso anima e corpo contro la pandemia». Bene. Se è così ha fatto il suo dovere, ma solo per un attimo alziamo lo sguardo e lasciamo da parte la caccia alle poltrone. Draghi come i marinai di Ulisse non sente il canto delle sirene. Non sembra lasciarsi incantare dal rumore che arriva da Scilla e Cariddi, anche se è lì che dovrà navigare, tra gli appetiti degli uni e il gorgo degli altri. Non resta che vedere che governo sarà. Draghi sta valutando se inserire o meno figure politiche e questo dipende proprio dall'atteggiamento dei partiti. Non si può stare insieme se tutti urlano. Allora meglio un puro «governo del presidente» che si gioca la sua fortuna in Parlamento. Draghi ha cominciato a indicare la rotta. È un governo atlantico e europeista. Non è solo un'etichetta. È per segnare senza ambiguità il punto sulla mappa. È qui che stiamo. È il «canone Occidentale», libertà e democrazia. Ha indicato le priorità: recovery plan e vaccini.
E le riforme: giustizia civile, fisco, pubblica amministrazione, welfare e scuola. Il tempo è poco e le mediazioni non possono essere infinite. Il giudizio lo daranno gli italiani alle prossime elezioni. Sembra strano ma è questa la democrazia.
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