Il fantasma di Conte, come una nemesi, come una vendetta, come il caos che avanza e spazza via le buone intenzioni. Draghi sul green pass deve stare attento, il rischio è ritrovarsi a rincorrere gli eventi: sorpreso, inerme, incasinato. Draghi non è Conte, ma il passaporto vaccinale comincia ad assomigliare a un rompicapo. Non è poi così lineare e immediato. Lo mostri, verifica ed entri. No, ci sono incongruenze ed eccezioni. Se vai da Roma a Milano è obbligatorio, ma da Portonaccio a viale Libia con il bus P10 non serve. I treni sì, ma le linee urbane no. Il peso del controllo che grava su chi per mestiere dovrebbe fare altro. Poliziotti e carabinieri che, teoricamente, faranno irruzione nei locali per catturare l'infiltrato. I dubbi dei sindacati, le tentazioni di sospendere dal lavoro chi si ostina a non vaccinarsi, il clima da caccia all'untore che si respira tra i più ortodossi, la comunicazione del governo che va avanti a singhiozzo. Quando Draghi ha parlato per la prima volta del green pass ci si aspettava una sorta di discorso alla nazione e invece si è lasciato sfuggire solo «un ricordati che devi morire». L'impressione è che il governo su questa storia abbia perso il passo e la cadenza. È partito, si è fermato, ripartito e svicolato e poi smarrito. Questo di solito accade quando la burocrazia si prende troppo spazio e chi scrive le norme si avventura in percorsi a ostacoli. Qui, però, ci sono anche ragioni politiche. Draghi ha guardato la consistenza della maggioranza e ne ha riconosciuto i limiti. Non mancano i numeri, ma non può avere una direzione. È perlomeno strabica. Tocca al premier, senza timidezza, ogni volta indicare la rotta. Quando questo non accade, quando le turbolenze sono troppe, si finisce per navigare a vista, senza un piano, ma cercando di compensare con aggiustamenti a destra e sinistra il viaggio intrapreso. Draghi conosce la meta, ma negli ultimi tempi fatica a definire senza incertezze il modo più diretto per arrivarci. È come se non volesse turbare troppo i partiti che lo sostengono. Il problema è che alcuni pezzi importanti della maggioranza restano «draghiani» riluttanti. Ce ne sono in Lega, Pd e Cinque stelle. Non sono seconde file. Il presunto capo dei grillini, solo per fare un esempio, si vede come il leader in sonno della resistenza al governo. Conte sogna di fare Renzi, interpretando il ruolo di guastatore. Ora è lui che prova a scardinare la serenità di Palazzo Chigi, proprio come l'uomo di Rignano fece con lui. Conte fa Matteo, ma Draghi non ha le fragilità di Giuseppe. Il suo futuro politico non dipende dal governo.
Draghi come Conte deve però confrontarsi con l'infiorata di identità di Letta o di Salvini. Eccole le turbolenze: noi siamo al governo, ma lasciaci lo spazio per dire chi siamo. Nessuno dei due può andare alle elezioni nudo. L'importante è che Draghi non smetta di fare il Draghi.
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