"Gridava, l'ho fatto smettere". Matias ucciso nel cassettone dal padre

Matias, dieci anni, è stato ucciso dal papà. La confessione choc: "Diceva che dovevo andarmene così gli avvolto la testa con il nastro adesivo"

 "Gridava, l'ho fatto smettere". Matias ucciso nel cassettone dal padre

"Ero ubriaco". A distanza di 7 mesi dal delitto, Mirko Tomkow ha confessato di aver ucciso il figlioletto Matias, di soli 10 anni. A ritrovare il corpo senza vita del bimbo, chiuso in un cassettone della camera da letto e con il nastro adesivo attorno alla testa, era stata la mamma. L'uomo ha spiegato davanti ai giudici della Corte d'Assise di Viterbo le ragioni dell'aggressione mortale: "Matias gridava. Mi ha detto 'vai via, non puoi stare qui'".

La confessione

L'omicidio risale al 26 novembre scorso in un appartamento a Cura di Vetralla, nel Viterbese. Mirko Tomkow, un muratore di origini polacche con gravi problemi di alcolismo, aveva ricevuto il dievito di avvicinamento alla moglie e al figlio per via di presunti maltrattamenti familiari. Ma quel giorno si era fatto trovare nella casa dello stradone di via Luzi, dove aveva convissuto con i due prima dell'allontanamento forzato. "Sono entrato in casa e non c’era nessuno - ha raccontato - Sono entrato con le chiavi nascoste fuori in una ciabatta. Con un coltello della cucina ho aperto la porta della soffitta. Ho fumato, bevuto e aspettato. Mentre ero lì ho sentito le ruote dello zaino di mio figlio che sbattevano sui gradini e sono sceso. Appena mi ha visto ha urlato: 'Vai via, non puoi stare qui'. Mentre gridava il suo telefono non smetteva di suonare. Io ero nervoso, così l’ho scaraventato a terra e messo nel lavandino del bagno. Matias però continuava a gridare. Era arrabbiato per il cellulare. Era fastidioso. Per farlo smettere ho preso lo scotch e glielo ho avvolto su tutta la faccia. Non parlava più".

L'alcol

Come ben precisa Il Messaggero, il 43enne era stata appena dimesso dalla struttura romana dove aveva trascorso la quarantena per il Covid. Giunto alla stazione Termini, aveva preso un treno per Bracciano e poi la coincidenza per Vetralla. "Ho iniziato a bere alle fermate - ha spiegato - poi arrivato a Cura ho preso la macchina, dove mia moglie qualche giorno prima mi aveva lasciato soldi e vestiti e sono andato al supermercato a comprare la vodka. Ho preso tre bottiglie. Poi ho lasciato l’auto in un parcheggio e ho raggiunto la casa a piedi. Sapevo che non potevo avvicinarmi, ma avevo bevuto tanto ed ero nervoso". Ma non è tutto.

La benzina

Quel giorno Tomkow aveva con sé una bottiglia di Vodka e una tanica di benzina. Quando il bimbo è rientrato da scuola, ha perso la testa. "Matias gridava - ha rivelato -perché io gli avevo rotto il telefono. Ero ubriaco e quelle urla mi davano fastidio. Prima gli ho messo una mano su naso e bocca per non farlo strillare, poi ho preso lo scotch sopra la caldaia. Quando era fermo sono andato ad aprire il cassettone e l’ho messo dentro. Non si muoveva più. A quel punto sono tornato in soffitta a fumare. Poi ho preso la benzina e l’ho sparsa per tutta la casa. Il coltello l’ho preso alla fine, ma non mi ricordo". Il 43enne ha detto di non ricordare di aver colpito il figlio con tre coltellate ma è certo che di aver sparso la benzina sparsa per la casa: "Non lo so se volevo bruciare tutto - ha concluso - ero solo molto ubriaco.

Sono stato molto arrabbiato quando il giudice mi ha allontanato dalla casa e dalla mia famiglia per maltrattamenti. Io non avevo mai fatto del male a mia moglie e al bambino. Non l’ho mai minacciata di darle fuoco o di ucciderla".

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