Cronache

I nuovi barbari sono tra noi (e non è un buon segno)

I dati Invalsi certificano non solo il problema dell'istruzione in Italia, ma anche quello della nostra società. Che rischia di finire sotto i colpi dei nuovi barbari

I barbari sono tra noi (e non è un buon segno)

I Greci chiamavano "barbari" tutti coloro che non condividevano la loro cultura, erano incapaci di parlare il greco e balbettavano parole oscure, incomprensibili. I barbari rappresentavano un pericolo costante che bisognava domare. Anche con il ferro. In pericolo c'era la società – meglio: la civiltà – stessa.

Oggi, i barbari non premono più alle nostre porte. Sono già accanto a noi, come avevamo scritto tempo fa. I dati Invalsi, l'ente che per conto del ministero dell'Istruzione verifica le conoscenze degli studenti italiani, sono disastrosi. Riportiamo la sintesi fatta da Gianni Fregonara e Orsola Riva sul Corriere della Sera di oggi: "Quasi la metà dei ragazzi che ha appena fatto la Maturità sa rispondere soltanto a domande che dovrebbero essere parte del programma di terza media, al massimo prima superiore"; "alle medie coloro che non raggiungono la sufficienza in italiano sono due su cinque (erano il 34 per cento fino a due anni fa) con punte del 50 per cento al Sud. In matematica va pure peggio: il 45 per cento degli studenti è sotto la soglia del sei, con punte del 60 per cento"; alle superiori "gli insufficienti in italiano sono il 44 per cento (il 60 al Sud) e in matematica sono più della metà: 51 per cento a livello nazionale, 70 per cento – settanta! – al Sud". Per quanto riguarda l'inglese, invece, "metà dei maturandi non raggiunge il livello B2 nella lettura di un testo scritto. E le cose si complicano se devono capire un file audio: il 60 per cento non ci arriva". La Dad, l'ormai nota didattica a distanza, non ha fatto che peggiorare le cose, aumentando ancora di più il divario tra Nord e Sud e abbassando notevolmente il livello di prepararazione degli studenti.

Davanti a queste percentuali, si può inveire contro i giovani che non vogliono più studiare oppure contro gli insegnanti che non sono in grado di fare il proprio lavoro. In ogni caso si sbaglierebbe. I primi, infatti, sono spesso vittime più che carnefici. Il loro modello è l'influencer che scrive "ai capito" o il trapper dai denti d'oro; la Miss Italia che chiede la pace nel mondo (quasi fosse un dono che cade dal cielo e non una condizione da raggiungere dopo un grande sforzo collettivo) e la showgirl, termine tanto vago quanto inutile, che non sa fare una O con il bicchiere. Finché i modelli saranno questi, i ragazzi non avranno voglia di impegnarsi. Giustamente. Chi glielo fa fare di passare ore chinati sui libri se poi chi vince nella società non ha mai aperto un libro? Chi glielo fa fare di studiare se poi verranno pagati molto meno di chi, con meno competenze, sa vendersi meglio? Certo, c'è chi continuerà a farlo perché ha una vocazione solida. Chi vorrà fare il chirurgo sarà sempre (o quasi) il primo della classe perché sa dove vuole arrivare. Sa che la strada per realizzare il proprio destino è impervia e ce la metterà tutta. Ma gli indecisi come faranno? I confusi e gli incerti (praticamente tutti a quell'età) da chi saranno guidati? Dai genitori? O forse è proprio su questo punto che gli insegnanti potrebbero fare la differenza? Potrebbero facilitare gli studenti a capire chi sono realmente e, così facendo, li aiuterebbero a comprendere la loro vocazione. Che non significa affatto avere solamente studenti delle superiori che vogliono fare gli ingegneri aerospaziali o i chirurghi. Ma che tutti abbiano la consapevolezza che il loro futuro è nascosto in ogni decisione che prenderanno in ogni momento della loro vita. Perfino quando decideranno di non decidere avranno preso una decisione: la più terribile perché sarà qualcun altro a scegliere per loro.

I ragazzi devono essere consapevoli dei rischi che corrono se non si applicano nello studio. Se non coltivano una passione. Che può essere qualsiasi: meglio essere un meccanico motivato di un ingegnere per obbligo. Meglio un netturbino felice di un chirurgo forzato. Ma bisogna aiutarli a farlo. Tutti dobbiamo aiutarli a farlo. In ballo non c'è solamente il loro destino, ma quello di tutti noi. Perché in ballo c'è la nostra civiltà. Lo aveva capito, quasi cento anni fa, Ortega y Gasset: "Nelle scuole che tanto inorgoglivano il secolo passato non s'è potuto fare altro che insegnare alle masse le tecniche della vita moderna, ma non si è riusciti a educarle. Si sono dati a loro gli strumenti per vivere intensamente, ma non la sensibilità per i grandi doveri storici; si sono inoculati frettolosamente nei loro cuori l'orgoglio e il potere dei mezzi moderni, ma non lo spirito. Per questo non vogliono nulla con lo spirito, e le nuove generazioni si dispongono ad assumere il comando del mondo come se il mondo fosse un paradiso senza tracce antiche, senza problemi tradizionali e complessi".

Quella che ci troviamo a vivere è "l'invasione verticale dei barbari" descritta da Rathenau un secolo fa. Giovani che non sanno più parlare la nostra lingua. Che non conoscono la nostra cultura. La nostra arte. La nostra letteratura. Giovani senza un futuro perché senza passato e con un presente incerto. Giovani che sono barbari senza volerlo e che invece dovrebbero esser guidati. Aiutati a scoprire la propria vocazione, che altro non è che la loro missione su questa terra. Che solo loro possono compiere. Ma devono esserne consapevoli. Il rischio è quello di vivere una vita vuota.

Una non vita.

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