I bulletti buonisti che obbligano i vip a scusarsi per tutto

Sarà anche vero che siamo entrati nell'era dell'odio e del rancore, ma il vero fenomeno nuovo in Rete è quello delle scuse estorte

I bulletti buonisti che obbligano i vip a scusarsi per tutto

Sarà anche vero che siamo entrati nell'era dell'odio e del rancore, ma il vero fenomeno nuovo in Rete è quello delle scuse estorte. Che in ossequio al buonismo dilagante sono diventate sui social un vero e proprio genere teatrale.

L'ultimo interprete della pubblica ammenda è stato il pilota di Formula 1 Lewis Hamilton, avvilito per aver postato un video natalizio in cui ridacchiava con il nipotino vestito da principessa dicendogli che i giovanotti non si vestono col tutù. Insulti e minacce di boicottaggi hanno costretto il presunto mostro omofobo a pubblicare un filmato di scuse. Volto listato a lutto, aria grave da imperatore giapponese che annuncia la resa, si è detto sinceramente convinto che ogni bimbo debba esprimersi come vuole, pure in tutù fucsia. E fa niente se ogni nonno, nonna, mamma, papà e zio del mondo a casa sua gli avrebbe detto che il tutù è da femmine. No, sui social non si può, i buoni sentimenti hanno cannibalizzato il buonsenso.

Stessa cosa era successa al calciatore dell'Atletico Madrid Antoine Griezmann, grande fan degli Harlem Globetrotter, che aveva postato una foto vestito da cestista con tanto di pelle scura e parrucca afro. La giuria di Norimberga del web non lo ha perdonato: razzista. Ma come, aveva il poster, erano i suoi idoli... Niente da fare, ha dovuto cospargersi il capo di cenere. Ora si attende il genio che ci coglierà riferimenti occulti ai roghi del Ku Klux Klan.

E ancora Gianni Morandi, che una volta posta un video in palestra al calduccio e si deve genuflettere per non aver pensato ai terremotati ibernati nei container; l'altra va a fare shopping la domenica ed è obbligato a stracciarsi le vesti (presumibilmente appena comprate, tra l'altro) per aver alimentato lo schiavismo dei commessi che nei festivi non possono stare coi figli. Cose da Tso.

Alle false scuse, le «bugie guardinghe», per dirla con Alexander Pope, eravamo abituati. Ora ci stiamo abituando anche ai falsi torti. Esiste una Inquisizione globale con evidenti problemi psichiatrici di paranoia che scandaglia ogni post di un vip alla ricerca di indizi che provino offese a minoranze, mancanze intollerabili di empatia, sessismo. La tua azienda fa spot con mamme e papà? Discrimini i gay. Metti nella stessa frase «donna» e «ferro da stiro»? Sei Weinstein travestito. Selfie allo stadio? Imbecille e incivile, in quello stesso momento nelle Filippine muoiono annegati. E guai se scrivi quanto era buono il bollito della mamma, ti augurano di finire macellato come un vitello. Un assurdo e kafkiano uragano di sentenze di colpevolezza, senza possibilità di appello né di difesa, in cui la massa ha ragione solo perché la massa è inquietante e ti può rovinare. È il terrorismo del bullismo buonista.

Per questo è necessario recuperare un limite al senso di colpa indotto. Perché a forza di indignarsi ed esigere autodafé per ogni scorrettezza involontaria, tutto finisce nello stesso calderone e una parrucca afro vale come un omicidio colposo.

Perché chi dice di amare tutti infine non ama nessuno, e nello stesso modo se chiederemo scusa col cuore in mano e la lacrima sul ciglio per ogni tasto battuto e ogni battuta detta, allora nulla ci dispiacerà più sul serio. Forse è il tempo di cominciare a reagire ai bulli ipercorretti. Non ci sono più scuse.

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