Salvo un sussulto di dignità, il governo estenderà di sei mesi lo stato di emergenza... in assenza di emergenza. Un unicum nei Paesi colpiti dalla pandemia, i quali, se l'hanno attivato, si sono limitati a farlo per poche settimane. Dopo il lockdown più cinese di tutti, il più lesivo delle libertà individuali ma pure collettive, ci toccheranno altri mesi di arbitrio governativo, in attesa di una seconda ondata che, a questo punto, pensiamo l'esecutivo si auguri, visto che lo scopo della proroga sembra esclusivamente di poter comandare circuendo le Camere e per Conte di assicurarsi altri mesi prima di esser disarcionato dai suoi.
Di fronte a una tale minaccia, ci si aspetterebbe il monito degli intellettuali liberali, visto che la missione di questi soloni dovrebbe consistere nel tutelare la libertà individuale e il regime rappresentativo, cioè il Parlamento. Invece contro il pericolo di altri mesi di libertà limitata nessuna voce da lì si è alzata. Essa non poteva certo venire dagli intellettuali di derivazione social-comunista e sessantottina, visto che la sinistra lotta per la libertà solo quando non è al potere: se comanda tende a ridurla. Buon maestro Togliatti che, mentre discettava di Voltaire e di tolleranza, il suo capo Stalin sterminava i sovietici.
Ma i liberali, quelli sì, li avremmo dovuti sentire. Ci riferiamo a chi, dalle colonne di Repubblica, della Stampa e soprattutto del Corriere, quando governava Berlusconi, stava indomito con il ditino alzato a denunciare in ogni momento, con toni varianti dal grido isterico alla boccuccia ritorta per l'indignazione, la «gogna per la libertà» rappresentata dal Cavaliere. Il quale, da vero liberale (lui) è invece intervenuto per indicare il pericolo. E ancora li abbiamo sentiti, durante il governo Conte I, preoccuparsi per le «derive autoritarie» dei decreti sicurezza o per i «pieni poteri» a Salvini e poi additare la lista dei cattivi del mondo: gli illiberali Putin e Orbàn, che invece lo stato di emergenza l'ha fatto votare dal Parlamento e già è rientrato.
Ma anche i «populisti» come Trump e Johnson, un rischio «plebiscitario» per le libertà, scrivevano gli autoproclamatisi eredi di Luigi Einaudi.
Ma ora che le plateali violazioni alla loro dottrina, sia pur intesa in senso largo, le hanno davanti agli occhi in
casa, silenzio, se si eccettua Sabino Cassese e rarissimi altri. Per i liberali italiani evidentemente vale quello che diceva Giolitti per le leggi: la patente di illiberali si applica ai nemici, si interpreta per gli amici.
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