Coronavirus

I pazienti li chiedono ma i medici non li prescrivono: è caos sui monoclonali

La cura con i monoclonali è poco utilizzata perché prescritta raramente dai medici di famiglia. "Pazienti sono venuti di loro iniziativa perché non riuscivano a contattare il proprio medico o perché non gli aveva paventato la possibilità della terapia"

I pazienti li chiedono ma i medici non li prescrivono: è caos sui monoclonali

Gli anticorpi monoclonali salvano le vite ma i medici non li prescrivono se non in pochissimi casi: è questo il paradosso tutto italiano sull'unica vera cura al momento disponibile nelle fasi precoci della malattia Covid-19.

La terapia inutilizzata

Come ci siamo recentemente occupati (qui il nostro articolo), l'Italia ha acquistato per fior di quattrini ben 150mila dosi di monoclonali che sarebbero destinate ai pazienti più fragili ed a maggior rischio di contrarre la malattia nelle sue forme più severe. L'Italia avrebbe 368 Centri abilitati ma, attualmente, si somministrano soltanto in un centinaio di essi. Il condizionale lo usiamo perché è una situazione paradossale ed incredibile. Tecnicamente, il meccanismo funziona così: una volta che i medici di famiglia accertano la positività di un loro paziente e valutano se quest'ultimo possa sviluppare una forma grave della malattia da Sars-Cov-2, dovrebbero attivare velocemente (fra i 3 e i 10 giorni) la procedura per fare in modo che il paziente raggiunga uno dei centri regionali per la somministrazione dei monoclonali. Ma, ad oggi (ed è questo il paradosso), le prescrizioni scarseggiano e vengono segnalate sempre dagli stessi "volenterosi" camici bianchi che ricordano l'esistenza di questa cura.

"Vengono direttamente i pazienti..."

Al policlinico Umberto I di Roma sono già state eseguite una sessantina di infusioni. "Una parte dei pazienti è stata segnalata dai medici di famiglia ma molti altri sono persone passate per il pronto soccorso mentre abbiamo ricevuto una decina di richieste direttamente dai pazienti", spiega al Messaggero Claudio Mastroianni, direttore del Centro monoclonale - Positivi che hanno di loro iniziativa scritto al Policlinico per essere curati perché non riuscivano a contattare il proprio medico di famiglia oppure perché quest' ultimo non gli aveva paventato la possibilità della terapia. Lo stesso accade a Tor Vergata", ha aggiunto.

Un caso emblematico

A suffragio di quanto detto dal Prof. Mastroianni è il caso della signora Angela, 68 anni ed obesa, risultata positiva a fine marzo, quindi neanche un mese fa. Ebbene, la paziente con uno dei più importanti fattori di rischio per questa malattia (l'obesità) è guarita definitivamente pochi giorni fa, indovinate come? Grazie all'infusione degli anticorpi monoclonali pochi giorni dopo i primi sintomi al Centro di Tor Vergata, uno dei 13 poli che la Regione Lazio ha messo a disposizione per questo tipo di terapia. Come ha fatto Angela a farsi curare con gli anticorpi? Purtroppo non è stato il proprio medico di famiglia a prescriverle la cura bensì il consiglio di un altro specialista che le ha suggerito di contattare Tor Vergata e chiedere se ci fosse la possibilità di un'infusione. La signora sta bene soltanto grazie alla sua voglia di guarigione e proattività altrimenti non avrebbe ricevuto i monoclonali. "Alcuni pazienti si sono già negativizzati mentre pochissimi, due o tre, sono stati ricoverati ma non di certo in terapia intensiva", ha affermato il Prof. Massimo Andreoni, Primario a Tor Vergata, dove sono stati già trattati circa un centinaio di pazienti.

"C'è scarsa informazione"

"Molti colleghi stanno seguendo il protocollo molti altri no perché c'è una scarsa informazione al riguardo e la pratica per avviare la terapia è comunque lunga", spiega Alberto Chiriatti, vicesegretario regionale della Federazione italiana medici di medicina generale. Le Asl della Regione Lazio hanno mandato ai medici un'unica mail con il protocollo e le procedure da seguire senza alcun "webinar utile a spiegare come comportarsi", conclude Chiriatti. Con il risultato di avere molti Centri pronti a fare decine di infusioni al giorno senza, però, ricevere i pazienti.

"Siamo indietro..."

Sul fronte dei farmaci per la terapia di Covid-19, monoclonali compresi, "qui siamo un po' più indietro" rispetto ai vaccini. Lo ha detto a Sky Tg24 Armando Genazzani, membro del Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell'Agenzia europea del farmaco. "Abbiamo almeno un paio di farmaci - sottolinea l'esperto - che sappiamo possono migliorare la prognosi dei pazienti in ospedale, il remdesivir e i corticosteroidi. Cominciamo ad avere delle combinazioni di anticorpi che nei pazienti ad altissimo rischio che hanno contratto il Covid potrebbero essere utili per ridurre l'impatto in ospedale.

C'è ancora qualche problema organizzativo perché sono farmaci che devono essere dati endovena e, perché, finché non riusciamo a predire quali pazienti possono progredire, dovremmo darli a troppe persone".

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