Cronache

I nostri mari sempre più a rischio: ecco i danni della pesca illegale

Cresce il consumo di pesce a livello globale, ma il vero allarme è sulla pesca illegale che coinvolge intere flotte di pescherecci in tutto il mondo: ecco come si rischia la desertificazione di mari ed oceani

I nostri mari sempre più a rischio: ecco i danni della pesca illegale

Non ci sono soltanto le foreste a rischiare la desertificazione: negli ultimi anni molti focus sono stati aperti circa l’opera spesso illegale di abbattimento degli alberi per far spazio a nuovi allevamenti, così come a nuove costruzioni.

Accade in Amazzonia, il polmone della Terra, così come da altre parti in tutto il mondo. Un albero che cade, si sa, fa sempre più rumore. E quando si inizia a tirare già una foresta è molti difficile non accorgersene. È più difficile invece osservare quanto accade nei nostri mari: anche qui è in corso una vera e propria desertificazione, con diverse specie di pesci a rischio estinzione e con intere zone degli oceani con oramai sempre meno pescato da poter offrire.

E così come per le foreste, anche la desertificazione dei mari ha a che fare in qualche modo con i consumi massicci e sempre più poco sostenibili. Nel mondo si mangia sempre più pesce e, di conseguenza, si pesca sempre di più. E questo di per sé non è un problema: il vero pericolo che minaccia i nostri mari, a partire dal “Mare nostrum” per eccellenza, è la mancanza di regole rispettate a livello internazionale e di mirati controlli su chi opera nel settore.

Diversi studi, tra cui anche quelli condotti dalla Fao, hanno rivelato che la pesca illegale ha un impatto sul commercio ittico mondiale che oscilla tra il 10% ed il 22%. Una cifra enorme, che mostra come potenzialmente quasi un quarto del pesce viene pescato senza alcuna regola, senza alcun controllo e senza alcun accorgimento.

E questo fa male in primis all’ecosistema: gettare le reti senza avere alla base alcun criterio volto al ripopolamento della zona in cui si pesca ed alcun rispetto per l'ambiente, equivale ad abbattere mille alberi in Amazzonia. Ma questo fa male anche all’economia: più aumenta il pescato illegale nei nostri mari, più cresce la concorrenza sleale. Ed anche tra le onde degli oceani non mancano fenomeni che, sulla terraferma, assumerebbero le connotazioni del caporalato: in Asia come in Africa, ma anche nel nostro vecchio continente, non sono rari i casi di pescherecci in cui a bordo le persone vengono trattate come schiavi.

Gente che sta anche mesi in mare a pescare, in condizioni disumane ed in contesti ben al di fuori da ogni garanzia di diritti, attratta magari inizialmente da prospettive di vita diverse: è questo il contesto riscontrato in molti pescherecci illegali scoperti, una dinamica molto simile a quella che interessa lo sfruttamento del lavoro nei campi.

E sulle tavole poi, arrivano prodotti dalla dubbia tracciabilità e magari acquistati a prezzi stracciati. Ne sanno qualcosa i pescatori italiani, stretti nella morsa della crisi economica e di una concorrenza sleale e spietata che arriva dall’estero.

Adesso si sta cercando di correre ai ripari su più livelli: da anni sono in vigore regole internazionali stabilite dall’Onu e dalla Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del settore agroalimentare. L’Ue dal 2010 ha adottato uno specifico regolamento volto a rendere più stringenti i controlli ed a scoraggiare la pesca di frodo. Bruxelles è anche impegnata a promuovere internazionalmente il rispetto delle regole, tuttavia l’impresa appare molto ardua.

Anche perché dentro il territorio comunitario a volte le porte sono state spalancate a quei paesi sospettati di alimentare il mercato con il pesce pescato irregolarmente. Ben si comprende, alla luce di ciò, come l’intera filiera ittica mondiale rischi il collasso: i mari sono sempre più sfruttati, sempre più desertificati ed il pesce pescato fuori dalle regole fissate a livello internazionale rappresenta una percentuale significativa.

Il tutto poi in un contesto dove i consumi stanno sempre più aumentando: secondo la Fao, tra il 1961 e il 2016 il consumo di pesce nel mondo è cresciuto del 3,2% l' anno, più della crescita della popolazione, ferma all’1.

6%, così come dei consumi di carne.

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