Dopo i piumini Moncler la Gabanelli prende di mira Gucci

Dopo Moncler Report prende di mira la maison Gucci, mostrando che parte delle borse sono fatte dai cinesi. Gucci replica. E la Gabanelli insiste

Dopo i piumini Moncler la Gabanelli prende di mira Gucci

Milena Gabanelli ci ha preso gusto. Dopo aver rifilato un siluro a Moncler nella ormai famosa puntata in cui Report denunciava il maltrattamento delle oche, spiumate con violenza nei paesi dell'Est, e la delocalizzazione della produzione di piumini dove la manodopera costa meno, l'ultima inchiesta si concentra su un marchio storico del lusso e della moda, Gucci, che pur essendo passato in mano francese fa del "made in Italy" un vero e proprio vanto nel mondo. Stavolta Report non contesta la delocalizzazione (che non c'è), e prende atto che la produzione delle lussuose borse avviene nei laboratori artigianali della Toscana. La tesi che porta avanti la Gabanelli è la seguente: la politica portata avanti da Gucci sta distruggendo uno dei protagonisti indiscussi del made in Italy italiano, l'artigiano. Per un semplice motivo: l'abbattimento dei prezzi (che Gucci paga ai fornitori) fa sì che gli artigiani si avvalgano dei lavoratori cinesi che operano in Italia. E in alcuni casi anche dei laboratori cinesi che operano in Italia, dove si produce a ciclo continuo. Nel mirino di Report non ci sono i cinesi ma il gruppo francese Kering che opera nel settore del lusso ed è il principale concorrente della Lvmh, anch'essa francese. Con una punta di sarcasmo Report sottolinea che "da dieci anni Kering garantisce una filiera etica e controllata grazie alla certificazione SA8000 sulla responsabilità sociale".

L'inchiesta della Gabanelli parte dall'interno del sistema: per cinque mesi, grazie alla segnalazione di un artigiano, Aroldo Guidotti (e del suo socio cinese), Report ha osservato come funziona la produzione e come avvengono le ispezioni che Gucci fa fare nei laboratori. Nel servizio mandato in onda viene mostrata una borsa che, in negozio, costa 830 euro. Poi, dopo uno stacco, la parola passa all'artigiano che la produce: a lui danno 24 euro. La giornalista Sabrina Giannini chiede: "Per fare cosa (le danno 24 euro, ndr)". Si può ipotizzare, infatti, che lui produca solo una parte della borsa. Ma l'artigiano risponde così: "Per farla". E si spiega: "Assemblaggio compresa la fodera, la tinta". Insomma, la parte artigianale del lavoro la fa tutta lui.

Ma dov'è il problema? L'artigiano lo spiega alla giornalista di Report: una borsa da 30–31 euro ci viene pagata 24. A ogni borsa, dunque, manca il 30% di valore. E se moltiplicate 6-7 euro per mille borse arriviamo a 60-70mila euro in meno che l'artigiano intasca. In tempi di crisi non sono bruscolini.

Cosa c'entrano i cinesi con questa storia? A spiegarlo è lo stesso Guidotti: "Non c'è bisogno di fare Sherlock Holmes per vedere che alle 11 di sera a Scandicci ci sono fabbriche e laboratori tutti illuminati dove lavorano i cinesi. Io stesso li ho assunti a 4 ore ma loro ne lavorano almeno 16 al giorno. E' questo il gioco che ci sta ammazzando. I cinesi lavorano 150 ore di più di quelle segnate". Insomma, alla fine se vuoi sopravvivere e tenerti la commessa devi fare anche tu questo gioco sporco. Sennò sei fuori. E il gioco lo fa qualcun altro. Ma c'è dell'altro: "I cinesi assunti part time - continua Guidotti - mandano a casa gli operai e gli artigiani italiani grazie ad alcuni di loro che fanno da paravento e da prestanome". Insomma, si sprofonda sempre di più nell'illegalità.

La giornalista di Report, facendo leva sulle parole sconsolate dell'artigiano, sentenzia: "Toscana da culla della pelletteria a zona franca". E la Gabanelli punta il dito: "Gucci lo sa o no che nelle fabbriche lavorano i cinesi?". Dall'inchiesta, che mostra una verifica effettuata nel laboratorio dagli ispettori inviati da Gucci, pare di sì. O meglio, gli ispettori lo sanno. E dopo che succede? Evidentemente si fa finta di nulla. La Gabanelli sentenzia: "Gucci col made in Italy fa profitti per un miliardo di euro". Sottinteso: un made in Italy che è fatto dai cinesi. Ma è proprio così? Siamo davvero sicuri che a Gucci importi qualcosa se a produrre sono gli italiani o i cinesi? Oppure il problema sta nei "fornitori di primo livello", quelli che materialmente consegnano le borse a Gucci dopo averle fatte assemblare nei vari laboratori presenti sul territorio? E un'altra domanda è d'obbligo: il controllo sul territorio, quello sulle fabbriche con le luci illuminate fino alle 23, o anche di più, lo deve fare Gucci o, magari, le autorità competenti?

La pizza, il Moncler e ora le borse Gucci. Non c'è dubbio che le inchieste di Report facciano scalpore. Ma dove vuole arrivare veramente la Gabanelli. Qual è il suo vero obiettivo? Possibile che il tanto bistrattato "made in Italy" faccia sempre e comunque schifo, anche quando tenta disperatamente di sopravvivere?

Tra i primi a replicare duramente alla Gabanelli è Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana. Lo fa con un tweet velenoso: "@reportrai3 non sa di cosa parla. La Regione Toscana controlla a Prato 10 aziende cinesi al giorno. @gucci è un'azienda seria". E prosegue: "La Toscana è in prima linea contro la contraffazione. Gucci ha un accordo con sindacati e istituzioni per il controllo della filiera. Report dice il falso sulla Toscana. Non siamo zona franca. Insieme alle imprese serie combattiamo il lavoro nero". Chiude infine con un siluro: "Toscana zona franca: slogan falso per alzare l'audience. Non rende giustizia al lavoro di imprese, sindacati e istituzioni per la legalità". Di una cosa siamo sicuri: la polemica andrà avanti un bel po'.

La replica di Gucci

Gucci si dissocia "nel modo più assoluto dai contenuti e dalla forma" del servizio di Report. In una nota, il gruppo afferma che "Gabanelli non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando: telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (3 laboratori su 576), non sono testimonianza della realtà Gucci". La società del gruppo Kering "depreca la rappresentazione che Report ha voluto dare di un’azienda che, contrariamente da quanto rappresentato, da anni sta operando per mantenere la produzione in Italia e percorrerà tutte le strade per tutelare i propri diritti, la propria immagine e il proprio marchio, nonché il lavoro di oltre 45miola persone in Italia tra dipendenti diretti e filiera produttiva".

Per Gucci il servizio ha accusato il gruppo "di consigliare l’utilizzo di forza lavoro cinese a basso costo. Tutto ciò è falso e destituito di ogni fondamento e fortemente diffamatorio. Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola, sabotando i sistemi di controllo in essere, è una truffa dalla quale Gucci si dissocia e che perseguirà in tutte le sedi", aggiunge la nota, secondo la quale "Gucci produce il 100% della pelletteria in Italia dando lavoro a oltre 7mila addetti tra fornitori di primo livello (1.981) e fornitori di secondo livello. Di questi addetti, circa il 90% sono di nazionalità italiana, mentre tutte le 576 aziende sono italiane. Tutti i fornitori di primo e di secondo livello vengono regolarmente controllati (circa 1.300 verifiche l’anno, anche notturne) sul rispetto delle regole e il corretto trattamento delle persone".

La Gabanelli ribatte: ci devono ringraziare

"Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci - dice Milena Gabanelli rivolgendosi a Gucci - per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori. È gravissima e lesiva della libertà di espressione e di denuncia la dichiarazione di Gucci. Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola - sabotando i sistemi di controllo in essere". E ancora: "Report non ha affatto sabotato ma osservato il metodo delle ispezioni farsa. Noi abbiamo fatto solo il nostro mestiere. La truffa semmai è ai danni degli artigiani, del Made in Italy, della legalità e dei clienti". La conduttrice di Report osserva inoltre, sempre riferendosi alle precisazioni della maison, che "forse non hanno compreso che la SA8000 (la certificazione di responsabilità sociale di cui si fregiano) deve decidere se continuare a certificarli. Che sia un marchio del lusso a mettere in seria discussione la validità della SA8000 è paradossale (ricordiamo che la Nike fu scoperta a far cucire palloni da bambini, ma costavano un dollaro)".

E sottolinea ancora: "Cosa poi intenda per laboratori selezionati dovrebbe spiegarcelo, visto che li abbiamo filmati (appunto) con le telecamere nascoste e monitorati per mesi. Uno di questi in particolare è subforniture di una società (Garpe) di proprietà della stessa Gucci, quindi non può neppur dire che la colpa è dei fornitori di primo livello (anche perchè la certificazione gli impone verifiche)". "Inoltre se per Gucci è davvero tutto normale", argomenta la giornalista, "perché non vuole che le aziende subfornitrici siano intestate a persone di nazionalità cinese? Comunque abbiamo ore di registrato e molti più esempi di quanti mostrati (noi abbiamo anche limiti di tempo per la messa in onda) che mettiamo a disposizione della magistratura qualora si attivasse per accertare le responsabilità di un sistema illegale che origina dalla manodopera sottopagata e che, ricordiamo, una sentenza storica a Forlì estese ai committenti dei cinesi. Sul tema dei controlli a Gucci è stata fatta richiesta scritta di intervista, ma hanno preferito declinare. La sottoscritta - sottolinea ancora - ha anche posto una domanda pertinente, sempre per iscritto: "A quanto ammonta il Made in Italy che viene fatturato in Italia e quanto esportato alla Luxury Goods (Svizzera) o comunque all’estero?". La loro risposta è stata: "Il dato non è pubblico". "Certo - precisa ancora Gabanelli - è meglio che non si sappia fino a che punto convenga all’Italia essere una colonià francese che non deve andare in Cina per produrre a basso costo il prestigioso Made in Italy grazie ai mancati controlli e ai prezzi sotto il limite che stanno riducendo alla fame i maestri artigiani, come li pubblicizza Gucci".

Si tuffa a capofitto nella polemica anche Sabrina Giannini, che ha firmato l'inchiesta su Gucci.

Su Twitter se la prende con il governatore della Toscana: "Rossi davvero sta dalla parte di Gucci (profitti: 1 miliardo)? Parli con artigiani pagati il minimo. Già scordato il rogo di Prato?".

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