Cronache

Gli agenti chiedono bodycam, ma li incriminano per tortura

Inseguimenti folli e volanti speronate. I poliziotti se non finiscono nel sacrario, finiscono in tribunale, come avvenuto per i due agenti di Torino. I sindacati: “Vogliamo essere tutelati, dateci le bodycam”, ma il governo ha risposto picche

Gli agenti chiedono bodycam, ma li incriminano per tortura

Una folle corsa di 8 chilometri a velocità elevata che ha sfiorato i 200 chilometri orari, rotonde imboccate contromano, quattro posti di blocco forzati, una volante della questura speronata, droga per uso personale al seguito, ma a finire sotto indagine sono due dei sei poliziotti che hanno effettuato l’intervento, per via di un video che ha ripreso l’arresto rocambolesco ed è stato poi diffuso su Tik Tok da un testimone, e nel quale sembrerebbe esserci un calcio da parte del poliziotto ai danni del fermato.

L’arresto risale al 5 dicembre scorso, ma solo adesso i due agenti sono finiti nel registro degli indagati con l’accusa di falso in atto pubblico, poiché – secondo quanto rileva il pubblico ministero – il contenuto del verbale redatto dai poliziotti sarebbe difforme da quanto si vede nel video.

Il soggetto fermato, un 39enne incensurato, è stato processato per direttissima il giorno seguente e condannato a un anno di reclusione ai domiciliari per resistenza a pubblico ufficiale. Ma c’è di più: dopo l’arresto, sia gli agenti che il fermato sono finiti in pronto soccorso e, mentre i primi hanno riportato traumi e contusioni giudicati guaribili in dieci giorni, l’arrestato oltre non a sporgere querela, non avrebbe riportato lesioni compatibili con un calcio.

Al momento si sta cercando di capire se questo calcio sia stato sferrato o meno. Sicuro è, che all’origine dell’inchiesta della Procura vi è questo video.

E, a proposito di video, mentre la Francia alla fine dello scorso anno, ha proposto una legge che vieta di filmare e fotografare le forze dell’ordine durante l’espletamento del servizio per tutelarne l’identità in rete, in Italia, non solo non si accoglie la richiesta degli stessi poliziotti di essere dotati di bodycam, ma si parla di reato di tortura e numeri identificativi, da sempre criticati da diversi sindacati di polizia e definiti uno strumento utile a prestare il fianco a denunce strumentali.

“Quello che si vede nei video in rete non sempre corrisponde alla realtà. Occorre guardare il nostro intervento da un altro punto di vista, quello che nessuno conosce, il nostro: ciò che avviene davanti a noi” dice a IlGiornale.it Andrea Cecchini, numero uno di Italia Celere, “le bodycam sono necessarie per tutti gli equipaggi, per tutti i tipi di intervento e h24, altrimenti non riusciamo a tutelarci. Le telecamere non sono un vantaggio solo per il poliziotto, ma costituiscono la vera certezza della pena, in quanto permettono di stabilire in maniera inconfutabile chi sbaglia, se il poliziotto o il soggetto sottoposto a controllo. Nel caso degli agenti dei Reparti Mobili – continua Cecchini – abbiamo le bodycam ma non possiamo attivarle per tutta la durata del servizio, ovvero ciò che noi invece chiediamo, insieme alla presenza di un magistrato con noi in strada, durante i grandi eventi. Non vogliamo essere favoriti, chiediamo solo rispetto, tutele e legalità, ma il governo risponde alle nostre richieste con una legge sul reato di tortura, dove anche solo un’occhiataccia, se pensiamo alla tortura psicologica, può farci finire alla sbarra e se non finiamo alla sbarra, finiamo sotto terra”, mentre sulla questione degli identificativi, chiosa: “Non serve un numero su un casco per avere un colpevole. Se il poliziotto commette un errore o un abuso, deve indubbiamente pagare. La certezza di ciò può darcela solo una bodycam. Se decideranno di dotarci di telecamere, allora potrei accettare anche un identificativo, ma senza di queste i numeretti non servono, perché reato di tortura e numeri identificativi sono l’abbinamento perfetto per chi vuole l’impunità. Abbiamo mani legate, bocca cucita e chi ci oltraggia resta impunito, a causa di un impianto normativo che non permette di assicurare una pena certa a chi si macchia di reati contro le forze dell’ordine. Noi non siamo lo zimbello dello Stato, noi siamo lo Stato” conclude.

Sì, i poliziotti rappresentano lo Stato, ma la concezione che parte del sistema sociale italiano ha in tema di sicurezza, di rispetto delle regole e di ciò che gli appartenenti alle forze dell’ordine rappresentano è, secondo Valter Mazzetti, segretario generale Fsp Polizia di Stato, piena di incongruenze gravi e pesanti ipocrisie. I continui processi mediatici contro le divise, la logorante opera di delegittimazione del loro operato, la incosciente messa in discussione di interi corpi e dunque di istituzioni dello Stato, il fatto di tralasciare colpevolmente il valore dell’opera di donne e uomini in divisa, per Mazzetti – interpellato da IlGiornale.it - costituiscono la prova provata di questa ipocrisia: “Si cerca sicurezza, si pretende il servizio, nulla si sa di come si svolge questo lavoro, ma lo si critica a priori avallando anche posizioni di ritorsione e vendetta contro gli operatori e la vicenda di Torino lo dimostra. Al di là dell’indagine specifica, che ci auguriamo la magistratura concluda in fretta, è bene sottolineare, seppur convinto che i colleghi la affronteranno a testa alta, che non ne usciranno senza ripercussioni pesanti personali, economiche, familiari e professionali. Ciò che spicca - insiste Mazzetti - è l’ennesima riproposizione di un quadro avvilente: accade qualcosa che richiede l’intervento della forza pubblica, c’è dunque chi ha sbagliato e anche gravemente, e la più pesante riprovazione finisce per essere indirizzata all’operatore di polizia invece che al delinquente. Ecco perché ancora sentiamo parlare di follie come numeri identificativi sui caschi invece che ricevere taser, bodycam, e tutto quanto altro serve per lavorare meglio. È mai possibile - si domanda il sindacalista - che di fronte a un criminale che scatena un putiferio generando un folle inseguimento e rischiando di fare una strage, scoppi il ‘caso’ se il poliziotto che lo ferma, in quelle condizioni davvero pesanti, alza la voce o lo strattona? Siamo all’assurdo. Ancora dobbiamo sentir discutere di azioni di servizio delicatissime e al massimo della tensione giudicate settimane dopo, da una comoda poltrona, guardando lo spezzone di un video che non dice assolutamente nulla?”.

Chi oppone resistenza alle forze dell’ordine, infrange la legge e questo dovrebbe comportare delle conseguenze.

Ma troppo spesso, come rileva Mazzetti, “le conseguenze sono agenti che finiscono alla berlina, e delinquenti che provano a passare per vittime”.

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