I predatori del nuovo medioevo globale

Xi Jinping, al vertice della Shanghai Cooperation Organisation, è stato esplicito: lo yuan deve diventare moneta globale

I predatori del nuovo medioevo globale

La Francia è di nuovo nel caos. Il premier Sébastien Lecornu si è dimesso poche ore dopo il giuramento, portando a tre il numero dei governi francesi collassati in meno di un anno. La sua permanenza all'Eliseo è durata così poco che Liz Truss, al confronto, sembra un monumento alla stabilità istituzionale.

Il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, ha subito fiutato il sangue e chiesto a Macron di sciogliere l'Assemblea nazionale e andare al voto. Prima di Lecornu, erano già caduti Michel Barnier, travolto dal fallimento delle misure di bilancio, e François Bayrou, bocciato da sinistra e destra nel tentativo disperato di frenare un deficit ormai fuori controllo.

I mercati non hanno perso tempo. Il rendimento del decennale francese (OAT) è balzato al 3,57%, contro il 2,72% del Bund. Risultato: lo spread OAT-Bund è arrivato a 85 punti base, più ampio di quello tra Italia e Germania. Un paradosso impensabile fino a ieri: Roma come nuova isola di stabilità politica in Europa, mentre Parigi si sbriciola.

Nel frattempo, i vincitori del lunedì sono stati i soliti due rifugi della paura: dollaro e oro. Il Dollar Index è salito dello 0,39%, mentre il metallo giallo ha toccato un nuovo record assoluto a 3.986 dollari/oncia.

Negli Stati Uniti, l'S&P 500 ha segnato un nuovo massimo a 6.740 punti, trascinato dal +24% di AMD dopo l'annuncio della partnership con OpenAI: un accordo miliardario per costruire data center alimentati da chip AMD. OpenAI acquisterà chip per 6 gigawatt e riceverà 160 milioni di warrant sulle azioni AMD al raggiungimento di certi obiettivi.

È la nuova circolarità tossica della bolla AI: le aziende investono l'una nell'altra per comprare i propri prodotti. Lo schema è lo stesso di Nvidia, che ha stanziato 100 miliardi di dollari in OpenAI soldi che, guarda caso, finiranno per acquistare chip Nvidia.

Non stupisce quindi che oro e azioni si muovano insieme: gli investitori, soprattutto in Europa, stanno adottando il cosiddetto "portafoglio turco" 50% oro, 50% equity perché i mercati sviluppati si comportano ormai come emergenti.

Gli scettici dell'AI parlano apertamente di bolla dot-com 2.0: stesso linguaggio messianico, stessa illusione di una "nuova era", stesse valutazioni stellari. Ma c'è una differenza: questa volta le aziende fanno davvero utili. E forse ha senso pagarle care, se il vero rischio non è la recessione ma l'esplosione fiscale degli Stati. Quando il debito diventa sistemico, l'unica via d'uscita è l'inflazione generalizzata, che cancella salari e risparmi.

L'oro e, in parte, anche azioni e immobili sta lanciando questo segnale: l'inflazione reale è già in corso, anche se i governi fingono di non vederla.

Chi pensa che la corsa dell'oro sia solo frutto degli acquisti delle banche centrali emergenti sbaglia la domanda. Il punto non è chi compra, ma perché compra. Il sistema del commercio globale liberalizzato che per decenni ha tenuto a bada i prezzi si sta sgretolando, e le banche centrali si stanno attrezzando al ritorno dell'instabilità.

L'ultimo segnale arriva dall'Australia, dove il colosso statale cinese China Mineral Resources Group (CMRG) ha vietato gli acquisti di minerale di ferro in dollari, costringendo le transazioni con BHP a passare in yuan. I politici di Canberra fingono che sia una "questione di prezzo", ma la verità è che le forniture in yuan continuano senza sosta. Il mercato del minerale di ferro è monopsonico: la Cina è l'unico acquirente di scala, assorbendo oltre il 50% dell'acciaio mondiale. Fino a ieri era un duopolio dominato da Australia e Brasile. Oggi, con l'apertura della miniera Simandou in Africa occidentale sponsorizzata dalla Belt and Road Initiative Pechino ha invertito il rapporto di forza. La mossa di CMRG è quindi un'azione politica, non commerciale: la Cina vuole imporre lo yuan come valuta di riferimento nelle materie prime, erodendo la supremazia del dollaro. Xi Jinping, al vertice della Shanghai Cooperation Organisation, è stato esplicito: lo yuan deve diventare moneta globale. L'obiettivo è chiaro: indebolire l'arma finanziaria americana, fondata sulla capacità del dollaro di escludere, sanzionare e soffocare i rivali tramite tassi e sistema SWIFT.

Il passo successivo? Costringere gli importatori australiani a pagare in yuan anche i beni manifatturieri. Così la Cina creerebbe domanda artificiale per la propria valuta e spingerebbe Canberra fuori dall'orbita del dollaro.

Uno scenario che né Washington né l'Australia possono accettare: il primo per motivi strategici, il secondo perché ha bisogno di dollari per pagare le importazioni globali e i sottomarini AUKUS acquistati dagli Stati Uniti. Siamo forse al punto in cui Pechino dirà a Canberra che è tempo di scegliere da che parte stare.

Chi osserva i mercati da anni lo sa: l'era del libero scambio è finita.

La nuova

normalità è quella della geoeconomia predatoria, dove a contare non sono più le regole del WTO ma il potere di coercizione economica. Benvenuti nel nuovo medioevo globale, dove vale una sola legge: mangia, o sarai mangiato.

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