Il governo di centrodestra compie sei mesi. Quali sono i tratti distintivi relativi all'economia? Si può scorgere, nella sua azione, un embrione di melonomics? Questo tipo di termine nasce oltre 40 anni fa legando il nome del presidente Usa Ronald Reagan alla sua politica economica liberista, che passò alla storia, appunto, come reaganomics. Reagan aveva a disposizione tutte le leve del governo dell'economia, dalle imposte, alla spesa pubblica e poteva pure contare su una banca centrale in grande sintonia. Per Meloni la situazione è ben diversa: l'entità del debito pubblico italiano, combinata con i vincoli monetari dell'eurozona, rende quasi nulli i gradi di libertà della politica economica. E la Banca centrale è a Francoforte. Pur in questo contesto, in questi primi sei mesi il governo Meloni ha dato almeno tre segnali di chiara personalità economica: su fisco, industria e lavoro.
La riforma fiscale curata dal viceministro dell'Economia Maurizio Leo riguarda famiglie, imprese e mercati. È dalla riforma Visentini degli anni Settanta che non si porta avanti un progetto così ambizioso. Dati i vincoli di bilancio, è un percorso che non fa miracoli. Guarda al lungo periodo. Da un lato contiene principi chiari in termini di semplificazione e minor pressione sui redditi; dall'altro garantisce l'integrità dei patrimoni. E, per quanto riguarda i mercati (collegati alla riforma), c'è la chiara volontà di favorire l'accesso del risparmio italiano al capitale delle imprese - aspetto finanziario cruciale e sempre assai trascurato -, come ha ricordato la stessa premier nell'intervista al settimanale Milano Finanza. Al quale ha anche chiarito come questo governo di centrodestra non subisca le attrazioni del dirigismo: per una banca come Mps Meloni ha confermato che l'obiettivo resta quello previsto e concordato a livello europeo, di ricollocare la banca sul mercato. Lo stesso vale anche per questioni strategiche come quella della rete Telecom, che il governo segue senza voler interferire. E la partita delle nomine nelle grandi partecipate ha mostrato, in definitiva, uno spoils system prudente e non ideologico, limitato alle aziende per le quali il governo richiedeva discontinuità.
Infine il lavoro. Un campo minato da anni di crescita debole, dalla pandemia e da cambiamenti sociali. L'approccio scelto dall'esecutivo può non piacere. E alla Cgil non piace. Ma è stato chiaro in due direzioni: aumentare i redditi attraverso il taglio del cuneo fiscale e rendere il mercato del lavoro più meritocratico. La riforma del reddito di cittadinanza va in questa direzione.
Fisco meno ossessivo, bando al dirigismo e merito sul lavoro.
Tre principi che, certo, al momento restano tali. La loro applicazione andrà verificata sul campo. Ma l'impronta che ne risulta è quella di una melonomics con caratteristiche chiare: più riformista che conservatrice e più per il mercato che per lo Stato sociale.
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