Il ricatto del gas e i venti della guerra

La Russia ha di nuovo chiuso il rubinetto del gas. Dice per tre giorni, poi si vedrà. Un atto di guerra economica nascosto tra mille scuse per nulla credibili

Il ricatto del gas e i venti della guerra

La Russia ha di nuovo chiuso il rubinetto del gas. Dice per tre giorni, poi si vedrà. Un atto di guerra economica nascosto tra mille scuse per nulla credibili. Un'altra faccia del conflitto ucraino come i bombardamenti russi o la controffensiva dell'esercito di Zelensky a Kherson. Per il Cremlino il gas è diventato il principale strumento bellico per dividere i Paesi dell'Unione e minare il consenso dei governi rei di appoggiare Kiev. Il tentativo di manipolare le opinioni pubbliche con gli aumenti dell'energia per indurle a maledire le scelte in favore dell'Ucraina, ha un ruolo centrale nella strategia di Mosca per vincere la guerra.

Un gioco banale quanto scoperto.

Si dovrebbe partire da qui per ragionare sulla natura delle misure da mettere in campo per fronteggiare l'aumento del gas. Misure che oltre ad avere una rilevanza economica fondamentale, servono anche - il legame è strettissimo - a difendere le scelte di politica estera di solidarietà all'Ucraina e di lealtà verso i nostri alleati che sono in cima - giustamente - ai pensieri del premier. Ecco perché, senza voler sollevare polemiche di altra natura, oggi il cdm farebbe bene ad affrontare la questione in un un modo o nell'altro per rassicurare l'opinione pubblica: visto che la Russia, infatti, sta conducendo una guerra psicologica, bisogna dare una risposta adeguata, qualunque essa sia, dallo scostamento di bilancio ad un fondo garantito dallo Stato contro il caro energia. Altrimenti si rischia di dare l'impressione che mentre i nostri connazionali sono sotto un altro tipo di «bombe» - le bollette e l'inflazione - il governo resti inerme, cioè non metta in campo un minimo di difesa, di contraerea.

Né come in altre occasioni ci si può nascondere dietro la frase di rito, inutile mentre divampa una guerra. Sempreché non si voglia suscitare una reazione naturale quanto irrazionale tra i cittadini ispirata a ragionamenti del tipo: «Questa non è la mia guerra». Che è esattamente l'intento di Putin.

Appunto, se si vuole tenere un Paese unito di fronte alla crisi economica come nella solidarietà a Kiev, si può fare di tutto meno che star fermi. E il tempo nel mettere in campo una «difesa» non è una variabile indipendente che non influisce sull'esito della guerra. Molti, dando sfogo alla fantasia, si riempiono la bocca, ad esempio, delle interferenze del Cremlino sul voto: ma quale interferenza è più efficace nei piani di Mosca che far svolgere le elezioni italiane con un Paese, e un'opinione pubblica, in balia degli aumenti del gas e dell'inflazione? Nessuna.

Ecco perché il governo farebbe bene a prendere oggi, non domani, dei provvedimenti all'altezza, delle misure eccezionali di guerra che non sarebbero neppure immaginabili in un periodo di pace, ma che oggi servirebbero a salvaguardare la nostra economia e lo spirito occidentale che da 70 anni anima gli italiani.

Tantopiù che le condizioni per prendere provvedimenti straordinari ci sono tutte: le chiedono in Parlamento tutti i partiti, le auspica

Confindustria e sindacato.

E anche in Europa, con la nuova sensibilità tedesca sul tema, qualcosa si sta muovendo. Quindi oggi il governo abbia quel pizzico di coraggio essenziale per affrontare questo drammatico momento.

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