Coronavirus

Infermiere chiede di uscire da pronto soccorso: lo aggrediscono in 5

Il racconto di Massimo Calì, infermiere caposala del pronto soccorso dell'ospedale Gravina di Caltagirone. Deciso a far rispettare le norme vigenti emanate durante l'emergenza Coronavirus, ha chiesto ad un uomo di lasciare i locali del Triage e per questa ragione è stato aggredito e minacciato di morte

Infermiere chiede di uscire da pronto soccorso: lo aggrediscono in 5

Arriva dall'ospedale di Caltagirone (Catania) la notizia dell'ennesimo episodio di violenza commesso nei confronti di un operatore sanitario: stavolta la vittima è un infermiere, minacciato ed aggredito da alcune persone che pretendevano di accedere ai locali del pronto soccorso nonostante i divieti imposti a causa dell'emergenza Coronavirus. A riferire l'intera vicenda è il caposala Massimo Calì, che ha raccontato la sua storia sulle pagine di “FanPage”.

Di turno presso il pronto soccorso dell'ospedale Gravina di Caltagirone, lo scorso venerdì 6 marzo Calì ha dovuto gestire le intemperanze di un soggetto, già noto per avere creato dei problemi in passato, che si trovava all'interno del pronto soccorso senza averne diritto. Stando alle nuove direttive emanate dal governo per arginare la diffusione del contagio del Covid-19, infatti, soltanto le persone con conclamate emergenze possono sostare nei locali, in attesa di essere ricoverate. Attenendosi alle regole, dunque, l'infermiere ha chiesto all'uomo di allontanarsi, provocando così la violenta reazione di quest'ultimo e di alcuni compagni subito accorsi per spalleggiarlo.

Bastardo, sei un pezzo di merda, non vali niente. Sono stato minacciato anche di morte, oltre a dirmi pure che ogni qual volta mi vedevano, mi dovevano dare 'legnate' e che mi aspettavano sotto casa”, racconta Calì durante l'intervista telefonica. Malgrado la forte tensione di quei momenti, l'infermiere è riuscito a mantenere il sangue freddo ed restare fermo sulla propria posizione, scegliendo di denunciare tutto alle forze dell'ordine e di far rispettare i provvedimenti in vigore. “Non mi sono fatto intimorire”, spiega il professionista. “Ho chiamato le forze dell'ordine, che sono intervenute tempestivamente, hanno identificato i soggetti e li hanno fatti accomodare fuori dal pronto soccorso”.

Nonostante tutto, Calì non ha voltato le spalle al gruppo di facinorosi ed ha cercato di capire se uno di loro avesse realmente bisogno di aiuto: “A questi 'signori' ho chiesto se erano meritevoli di cure sanitarie. Mi hanno risposto che non avevano bisogno di assistenza, e che io ero 'nessuno' per poterli mandare fuori. E mi hanno minacciato. Mi hanno lanciato una sfida: potevo buttarli fuori io, se ne avevo la capacità”.

Ma che cosa stavano facendo quegli uomini in pronto soccorso? Cosa volevano? L'infermiere sembra saperlo bene, e risponde così alla domanda del giornalista:“Loro hanno le ambulanze private. Avevano trasportato un paziente di una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale) privata, che si occupa di anziani. E lui mi ha mentito, perché mi ha detto che era il tutore di questo paziente. Lo ho invitato a fornirmi la documentazione in merito, ma non ce l'aveva. Non l'ha mostrata a me, né alla polizia. Quando poi sono arrivati gli agenti ed i carabinieri lo hanno fatto allontanare”, racconta Calì, ricordando che proprio il 6 marzo era entrato in vigore il decreto ministeriale del premier Conte, che prevede che nessuno sosti nelle aree del pronto soccorso senza motivazione. “Tutto questo è durato 25 minuti circa”, continua l'infermiere. “Dunque c'è stata anche interruzione di pubblico servizio, oltre alle minacce. Sembrava che la cosa fosse finita lì, invece la mattina dopo, intorno alle 9, si sono presentati questi due soggetti, accompagnati da altre tre persone. Appena mi hanno visto mi hanno aggredito, mi hanno detto che ero un pezzo di merda perché avevo chiamato i carabinieri e che non valevo niente”. Poi le botte. “Mi hanno preso a sberle, e con questo ho la verticalizzazione della cervicale e una prognosi di 20 giorni. Questo è il ringraziamento che ci aspettiamo noi del pronto soccorso in prima linea. Poi cercano tutti il sostegno dei medici e degli infermieri.

Prima ci ammazzano, non ci rispettano, non ci considerano, siamo mal pagati e questo è il risultato", si sfoga il professionista.

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