Cronache

In Italia i magistrati si credono politici

Siamo un Paese di Common law. O lo siamo ormai diventati

In Italia i magistrati si credono politici

Siamo un Paese di Common law. O lo siamo ormai diventati.

Non è più, insomma, il Parlamento che è emanazione della volontà popolare attraverso il voto - a dettare le leggi ma la magistratura a crearle, ben oltre il perimetro normativo in vigore. Ciò che non consente la legge, insomma, diventa lecito a colpi di sentenze. Questa è la prima riflessione che mi si è imposta dopo la deflagrante ultima pronuncia della Corte d'appello di Trento che ha dato riconoscimento, nell'ordinamento italiano, ad un provvedimento straniero che stabiliva il legame genitoriale fra due bambini, nati per effetto di una maternità surrogata, ed il loro padre non genetico.

La sentenza emessa ai piedi delle Dolomiti è solo l'ultimo tassello di un processo che si dispiega da anni nel quale, soprattutto in ambito di filiazione e famiglia, è la magistratura a sostituirsi al potere legislativo riempiendo gli spazi fra le leggi e creando diritto. Così, però, si delegittima il Parlamento ed il senso stesso del mandato che noi cittadini esprimiamo o vorremmo esprimere con il nostro voto funzionale alle elezioni di rappresentanti che legiferino secondo i nostri desiderata.

A cosa sono serviti gli infiniti dibattiti nelle Commissioni parlamentari ed i compromessi tra le forze politiche per dare precisi confini alla «Cirinnà» (la legge sulle unioni civili omosessuali), se proprio quel meccanismo escluso dalla maggioranza e tenuto ben lontano dal testo finale, il ricorso all'utero in affitto, viene ora legittimato dalla magistratura?

Mesi a parlare della scelta dell'ex governatore pugliese di diventare padre con questa tecnica, confortati dall'assenza di leggi che consentissero in Italia di riconoscerne la paternità, liquidati oggi da un collegio di soli tre giudici che hanno di fatto sdoganato la maternità surrogata.

A Trento si è infatti assistito anche allo scontro epocale fra poteri dello Stato: con il procuratore generale che si opponeva strenuamente all'accoglimento della domanda richiamando all'assenza di una legge e l'esistenza di altre strade (l'adozione in casi particolari) per tutelare i diritti del padre non biologico, e i giudici che hanno invece superato il suo parere contrario, basando la loro decisione su un nuovo concetto di «ordine pubblico».

Un concetto che cancella ogni nesso biologico fra un figlio ed un genitore.

«Non è né la carne né il sangue ma il cuore che ci rendono padre e figli», diceva Schiller e a Trento l'hanno preso in parola. Ciò che rende padri, hanno affermato i giudici del capoluogo trentino, non sono i vincoli di sangue, ma la progettualità che sta alla base della genitorialità: la decisione della coppia di allevare ed accudire i figli nel quadro di una formazione familiare avvinta da questo scopo li ha resi idonei a poter essere riconosciuti come padri a tutti gli effetti. Senza distinzioni.

Genitore A e genitore B.

Mamma e papà sono diventate categorie vetuste: è sempre più chiaro il panorama di una famiglia che ha perduto la connotazione di modello conformato alla Sacra Famiglia di Nazareth (non a caso San Giovanni Paolo II diceva «La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda») e si è gradualmente trasformata in qualcosa di diverso, dove a prevalere ormai è solo la volontà dell'aspirante genitore. Quella volontà che vede nel figlio un prodotto e nella donna solo un vettore, un'incubatrice.

Ma è questo il futuro che vogliamo davvero?

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