Cronache

Il killer della Mala del Brenta: "Fiumi di soldi con la droga, ma godevo di più a sparare ai poliziotti"

Giampaolo Manca, ex esponente di spicco della Mala del Brenta si confessa in un'intervista e racconta i lati più oscuri dell'organizzazione criminale che teneva in pugno il Nord Italia, dalla droga al caso Pavesi

Il killer della Mala del Brenta: "Fiumi di soldi con la droga, ma godevo di più a sparare ai poliziotti"

Droga, rapine e omicidi. Giampaolo Manca, 64 anni di cui più della metà passati in carcere, ha deciso di raccontare il suo passato da esponente di spicco della Mala del Brenta in un libro.

“Dall' Inferno e ritorno" è un’autobiografia che racconta la storia dell’organizzazione criminale guidata da Felice Maniero e attiva nel Nord Italia dagli anni ’70 agli anni ’90. È la storia di un criminale che decide di cambiare la sua vita nel 1979, dopo la morte di un suo complice durante l’assalto ad una banca. Da quel momento le rapine non sono più uno scherzo. La posta in gioco si alza. “Godevo a sparare ai poliziotti”, confessa a Libero Manca, nome di battaglia “il Doge”.

Dopo le rapine arriva la droga, che all’epoca significava soldi, tanti e facili, e meno rischi. “Eravamo in un delirio di onnipotenza”, racconta in un’intervista concessa ai giornalisti dello stesso quotidiano. Manca è tra i primi a portare l’eroina a Milano scontrandosi con gli altri sodalizi criminali. Prima quella pura, la siriana, spedita dalla Turchia. Poi la brown sugar e la più economica thailandese. Un traffico redditizio che ha ucciso tanti ragazzi e ha portato altrettanti soldi nelle casse dell’organizzazione. “Un miliardo di lire al mese” è la cifra che il Doge si metteva in tasca in quel periodo.

Poi sono arrivate le esecuzioni. La prima quella di due veneziani, i giudecchini. Un regolamento di conti interno alla Mala. Viene tesa loro una trappola e a premere il grilletto in presenza del boss Felice Maniero, è proprio Manca. A morire è anche un terzo ragazzo che non c’entra nulla. Come Cristina Pavesi, la studentessa ventiduenne di Conegliano, che il 13 dicembre 1990 viaggiava sul treno da Bologna a Venezia, che quel giorno incrociò fatalmente all’altezza di Barbariga di Vigonza, il Venezia-Milano che la banda di Maniero assaltò con un carico di esplosivo C4. La deflagrazione fu fatale per Cristina, vittima innocente dell’agguato.

Manca viene arrestato proprio per la rapina al treno, venduto dal suo capo, Felice Maniero, e imputato per rapina e strage. Il Doge continua a negare il suo coinvolgimento, ma le accuse gli costano 16 anni di isolamento. Un periodo che, dice a Libero, “mi ha portato a parlare prima con me stesso e poi con Dio”. Da qui la voglia di rimediare a tutto il male fatto. Tutti i proventi dei suoi libri saranno destinati per questo ad una struttura per bambini autistici. “Voglio esortare i giovani a non prendermi come esempio, io sono un dannato, non un'icona da emulare”, avverte.

Oggi, a distanza di decenni, gli inquirenti sono convinti che sia passato da Venezia anche l’esplosivo usato a Capaci e Via D’Amelio. Ma Manca nega tutto. Nel luglio 2019 terminerà di scontare la sua pena.

Venezia? “Non è mai stata della Mafia del Brenta, ma dei veneziani perbene”, è convinto l’ex “Doge”.

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