L’ausiliaria salvata da un partigiano "Vado a morire nella casa di Mussolini"

Fiorenza Ferrini, ex ausiliaria del servizio ausiliario femminile fascista ha deciso di morire a villa Mussolini. Una vita "tramandando i un uomo (il duce, ndr) che ho amato oltre ogni umana comprensione, un uomo per il quale ho pianto quando veniva insultato, morto, appeso per i piedi."

L’ausiliaria salvata da un partigiano "Vado a morire nella casa di Mussolini"

"Nella mia vita sono sempre stata coerente. E oggi, se Dio vorrà, non farò altro che esserlo per l’ennesima volta...", parola di Fiorenza Ferrini, ex ausiliaria del Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane (Saf) in cui entrò quando ancora era minorenne. Ora a 94 anni ha deciso di morire nella casa che fu del Duce e di Rachele. Un viaggio dall’ospedale di Negrar (Verona) per arrivare a "villa" Carpena.

"Vi racconto chi era il Duce"

Il motivo di questo viaggio l'ha spiegato su Il Corriere del Veneto: "Tutto quello che ho fatto nella mia vita è legato a quella casa, ma soprattutto a chi ci ha abitato...". E sì, perchè quella casa fu la prima di Benito e Rachele Mussolini e dei loro cinque figli. La stessa che ora è "museo Mussolini". Lei sarà ospite nella casa di fronte, una villa che ora, come la definisce
Angiola Petronio, "è una sorta di mausoleo in cui non vive nessuno". Disabitata ma per Fiorenza "luogo di memoria", come definito sulle pagine del Corriere. Una memoria pesante come un fardello che la 94enne non ha mai rinnegato, sempre convinta e decisa a farsi scivolare addosso le sentenze e i relativi giudizi della storia.

L'anziana, come scrive la giornalista Angiola Petronio, ha ottenuto il trasferimento dal medico di base, ha poi chiamato i propietari della "villa-museo", Adele e Domenico Morosini e ha chiesto il permesso di tornarci. "Mi hanno detto che non c’era problema, ma non potrò dormire nella stanza di Rachele. Mi allestiranno una camera al piano terra.. ". Un ritorno desiderato fortemente. Tanto quanto la scelta di entrare nel Saf. In quell'occasione fu costretta allo sciopero della fame per convincere i genitori a lasciarla partire. O come quando venne spedita ad aiutare le truppe, perché non volle fare la segretaria o l’attendente. E come quella volta in cui venne salvata da un partigiano il 25 aprile. Un ricordo indelebile nella memoria dell'anziana: "Piazzale Loreto fu un orrore e tra di noi superstiti ci dicemmo che avremo raccontato ciò che è stato, nel bene e nel male". Sempre decisa Fiorenza.

Giorni difficili: dopo la Morte di Mussolini ci fu la fuga in Inghilterra, la tisi che le è costata un polmone e poi il ritorno nella città scaligera, come racconta Il Corriere del Veneto. Ma anche le porte sbattute in faccia perché etichettata come fascista. Porte divenute in seguito nuove vie per rinascere. Come racconta la giornalista, Fiorenza si diede allo studio di dattilografia, poi al lavoro in fiera e infine entrò come segretaria alla casa di cura Chierego-Perbellini. Nel tempo libero, spiega la Ferrini alla cronica che ha raccolto la sua testimonianza, cercava anche di vendere qualche libro per finanziare la villa di Mussolini e la "Piccola Caprera", dove spesso si ritrovava con le ex ausiliari della Saf.

O almeno quelle rimaste: "Siamo rimaste in poche. Molte vennero uccise e per evitare che ci prendessero i partigiani distruggemmo i documenti. Poi ci siamo rimesse in contatto, ma non eravamo molte...". Racconti che si susseguono e che trovano fondamento in quel libro che porta sempre con sé, come precisa Angiola Petronio. Un volume con tutte le opere completate dal Duce nel Ventennio. Tutti quelli che arrivano a villa "Carpena" ne ricevevano uno. Il motivo? Lo si legge chiaramente sulla pagine del Corriere Veneteo: "Perché il duce ha fatto tantissime cose buone. Poi è andata come è andata...". Orgogliosa di quelle opere e che onora a suo modo indossando ancora il suo basco da ausiliaria, abbinato con la medaglia della Saf.

"Con la fede nel cuore e il basco in testa"

Sempre con umiltà, senza distinzioni politiche, perché lei fu salvata da un partigiano: "Gli uomini vanno sempre giudicati dal loro cuore e non dal colore che portano addosso". Ha sempre scelto da sé. Nella vita come nella morte. E allora venerdì un’ambulanza andrà a San Martino in Strada, frazione di Forlì. Di certo non smetterà di raccontare la storia: "Tramando la storia, quella vera, perché io l’ho vissuta in prima persona. Racconto di un uomo (il duce, ndr) che ho amato oltre ogni umana comprensione, un uomo per il quale ho pianto quando veniva insultato, morto, appeso per i piedi. Racconto di una giovinezza trascorsa senza paura, con la fede nel cuore e il basco in testa. E dico a tutti che non me sono mai pentita. E racconto anche di quel partigiano che mi salvò la vita.

Perché gli uomini non si dividono in rossi e neri, ma in buoni e cattivi".

Un ideale coltivato e mai tradito. Fino alla fine, fino a quella villa diventata museo e che ora le permetterà di culminare la sua esistenza senza mai piegarsi e senza svendere i propri ideali.

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