Cronache

L’ultimo affare dei clan: il racket dei "vestiti usati"

Non solo rifiuti tossici e abusi paesaggistici. L’Arma svela un nuovo reato "ecologico": il traffico della raccolta di abiti

L’ultimo affare dei clan:  il racket dei "vestiti usati"

Tutti i colori del verde. Dai seppellitori di scorie radioattive ai palazzinari del cemento selvaggio fino al racket dei vestiti usati, depositati nei cassonetti sotto casa, e recuperati dalla Camorra Spa. L’ultima analisi del «Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente» fa il punto sullo stato dell’arte delinquenziale del «business ecologico» monopolizzato da una criminalità organizzata ben più evoluta di quella «stracciona» evocata in Gomorra. Il fronte più remunerativo è quello di sempre, triplicato rispetto a tre anni fa: il traffico illecito di rifiuti. Le grandi mafie hanno più colletti bianchi e meno manovalanza da discarica fai da te. Ci si muove «cambiando d’abito» all’immondizia, nascondendola con triangolazioni su internet, creando società ad hoc con le quali far viaggiare carichi illeciti «ripuliti».

A farla da pardona le famiglie casalesi, a seguire Cosa nostra, mafie straniere e faccendieri vari. In origine c’erano le inchieste «Cassiopea» e «Re Mida» che raccontarono la distruzione della Campania Felix ingravidata dai liquidi tossici fuoriusciti da bidoni intombati vicino a falde acquifere, qualche metro sotto pascoli e coltivazioni. Oggi i carabinieri dal pollice verde si ritrovano a inseguire i colletti binchi del malaffare ben oltre i confini nazionali, in banche, società, termovalorizzatori lontani.

Solo in questi primi cinque mesi del 2012, i militari del generale Vincenzo Paticchio mettono a bilancio 1.090 controlli, 25 arresti, 723 denunce e 281 sequestri per 190 milioni di euro di valore. Numeri da brivido che si sommano a quelli del biennio 2010/2011 con sequestri di beni per oltre un miliardo e duecento milioni, 213 persone messe ai ceppi e altre 4.422 denunciate. Anche per questo l’Italia è stato il primo paese d’Europa a istituire una forza di polizia giudiziaria specializzata nella normativa ambientale, come sarà ricordato questo pomeriggio, a Roma, nella caserma Salvo D’Acquisto per il 198esimo anniversario della fondazione dell’Arma.

Una «cerimonia sobria», col pensiero rivolto alle tante comunità dell’Emilia Romagna colpite dal recente sisma, a cui assisteranno il Presidente Giorgio Napolitano e il Comandante Generale Leonardo Gallitelli. Attualmente i 30 nuclei sparpagliati lungo il territorio nazionale, con un organico di 400 unità, hanno più fronti aperti. Fra discariche illecite, carichi nocivi, palazzi abusivi, reati ambientali e siti inquinati, sono una trentina le inchieste aperte. L’ultima, a Rodi Garganico, in provincia di Foggia, con i sigilli a un complesso turistico-residenziale nel parco nazionale del Gargano: un affaruccio, senza licenza, da 20 milioni di euro. In Toscana i carabinieri del T.A. hanno fatto emergere l’ultima, inedita, «emergenza ambientale» stoppando l’ascesa del clan camorristico di Ercolano, i Birra-Iacomino, alle prese con un «racket degli stracci» che sembra aver fatto scuola in diverse realtà criminali impiantate nel centro e nord Italia.

Stando alle informative dell’Arma i boss della provincia napoletana hanno lucrato rivendendo al network del commercio ambulante vecchi vestiti depositati dai cittadini negli appositi contenitori sotto casa, che di norma vengono poi raccolti dalle ignare associazioni di volontariato e smistate a società incaricate di «sanificare» gli abiti o di «smaltire» in discarica quelli irrecuperabili.

Sulle bancarelle di Resina (a Ercolano) come nei mercatini di Campania, Lazio e altre regioni centrali, sono finite per anni tonnellate e tonnellate di abiti luridi, usurati, immettibili, privi dell’obbligatorio trattamento igienizzante. A fare da sponda ai boss di Ercolano, come ad altri referenti di analoghi clan, imprenditori che certificavano falsamente la pulizia e la disinfestazione dei capi. L’andazzo è da milioni di euro. Non si è fermato alla Toscana. Ha preso piede.

Purtroppo.

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