Lampedusa non mente. Il suo destino è scritto nel nome. Pelagie, l'arcipelago del mare aperto. Sta lì, nel cuore del Mediterraneo, come un punto di approdo per chi sceglie di sfidare il mare. Lampedusa è anche il simbolo di un'ipocrisia. È un non detto. È l'isola che ci si sforza di non vedere. È il simbolo di chi preferisce non vedere e si gira dall'altra parte. Il motivo è semplice. Il governo non ha una politica sull'immigrazione. Non vuole averla perché è più facile vivere in una finzione. Non ce l'ha il premier. Non ce l'ha il ministro dell'Interno. Non ce l'hanno soprattutto Pd e Cinque Stelle. Tutti preferiscono la politica della menzogna.
Funziona così. La regola è che non si può arrivare in Italia di nascosto, su imbarcazioni di sventura, pagando tutto quello che hai a mercanti di carne umana, con la speranza di trovare una terra migliore dove cercare fortuna, con il marchio del fuorilegge. Se sopravvivi ti mettono in un recinto affollato in attesa del tuo destino. C'è chi aspetta, chi dopo anni trova davvero una nuova casa, chi fugge e chi deve ricominciare tutto daccapo. Pochi vengono rimpatriati. L'Italia ti dice che questo tiro di dadi è vietato, ma poi lascia che avvenga nel nome dell'accoglienza universale.
È esattamente questa la menzogna. Quella che chiamano accoglienza, non è accoglienza. È una roulette russa. Le vere regole di questo gioco sono solo sussurrate. Quelli che partono sanno che il mare, e l'ipocrisia dell'Italia, chiede un tributo di vite. Non tutti sopravvivranno. I più deboli, i più sfortunati, i più disgraziati ci lasceranno la pelle. La risposta, in genere, è che sono talmente disperati che preferiscono rischiare la morte. Non per tutti è proprio così, ma ammettiamo che sia vero. Questo non cambia il meccanismo di questa drammatica giostra. È come se l'Italia fosse la patria clandestina di una sorta di «hunger games», letteralmente i giochi della fame.
È esattamente questo che significa non avere una politica dell'immigrazione. È non avere il coraggio di scegliere. È mentire a se stessi perché non si sa come gestire il fenomeno, ma con il timore che il solo provarci scontenterebbe l'elettorato di riferimento. È mancanza di coraggio. È rintanarsi nell'Isola dei Conigli, così vicina a Lampedusa.
Questo governo ritiene che la politica delle frontiere chiuse, bandiera del salvinismo, sia un reato contro l'umanità. Non condivide neppure le scelte di Marco Minniti, ministro dell'Interno del governo Gentiloni. Il governo di fatto è vicino alla visione delle Ong. Allora è questo il punto: dovrebbe dirlo. Dovrebbe costruire su questo architrave culturale la politica sui flussi migratori. Aprire i porti. Abolire il reato di clandestinità. Avvertire Merkel e Macron che l'Italia non è più la frontiera meridionale dell'Europa. È difficile? Moltissimo. È costoso? Certo. È un'utopia? Forse.
È però una scelta sincera, coraggiosa e coerente. Se ci credi, lo fai. È parresia. Non ha l'odore dei sepolcri imbiancati. Non puzza di belle parole mentre si gioca alla roulette russa. Non è la politica degli «hunger games».
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