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L'arroganza dietro il ddl Zan

l corpus iuris è il luogo dell'equilibrio, non delle affermazioni, dove le bandiere non sventolano, stanno ammainate, e le posizioni sociali trovano bilanciamento, non supremazia.

L'arroganza dietro il ddl Zan

Il corpus iuris è il luogo dell'equilibrio, non delle affermazioni, dove le bandiere non sventolano, stanno ammainate, e le posizioni sociali trovano bilanciamento, non supremazia. È la massima espressione di civiltà perché regola i rapporti tra cittadini, indipendentemente dal peso del gruppo di riferimento. All'opposto della dittatura, la democrazia non è l'assenza del comando della maggioranza, ma la difesa delle minoranze da ogni sopruso, aggressione o discriminazione. Fascismo e nazismo sono nati come espressioni di volontà popolare, poi diventati dittature quando hanno soffocato le minoranze. La diversità rispetto a una moda va affermata e tutelata, non cancellata. In una comunità musulmana, il cristiano è e resta minoranza. In una di neri, il bianco è e resta minoranza. Vanno rispettati e tutelati. Però quelle comunità restano musulmane o nere e pure il loro legittimo diritto a esserlo va rispettato e tutelato. Esempi non casuali: la religione è una scelta, il colore della pelle no. Di questo senso alto della civiltà giuridica non si trova traccia nel ddl Zan.

All'inizio definisce l'identità di genere, basata sulla percezione e sulla manifestazione di sé, che può non corrispondere al genere biologico, lì chiamato sesso per evitare confusione. Premesso che non tutti sono eterosessuali e che a tutti va garantita la libertà di comportarsi come gli pare, da qui all'identità ce ne passa. Ognuno può vivere come vuole, ma non pretendere che un fatto certo sia sostituito da uno volubile: prima mi sentivo maschio, oggi ho cambiato, domani chissà. L'identità serve a fissare fatti oggettivi: nome, nascita, genere, madre e padre, quando possibile.

Se abbiamo impiegato decenni per sancire che un fatto, essere maschio, non possa soffocare il desiderio di comportarsi da femmina, non è stato certo per consentire poi al desiderio di sostituirsi al fatto. Qualcuno è basso, qualcuno tende alla pinguedine, il sole sorge a oriente: tocca farsene una ragione. La realtà va resa sopportabile e gradevole, ma l'idea che scelte e desideri possano curvarla è delirio di onnipotenza. Specie adesso che la scienza consente tanto, di rispetto verso la realtà ne serve di più, non di meno.

Poi c'è la limitazione alla libertà di espressione delle opinioni, se ritenute «idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Ora, ritenere le idee responsabili dei comportamenti altrui è già bizzarro di suo, visto che a Norimberga nemmeno l'obbedienza a ordini militari ha salvato gli imputati dalle proprie responsabilità. Ma qui si va oltre: non serve nemmeno il compimento di atti criminosi. In diritto, se c'è una pena c'è un reato e se c'è un reato c'è una vittima. Qui chi è la vittima? Forse la comunità, che non vuole ascoltare l'espressione di idee non condivise? Un giro di parole per dirne una sola: censura.

La civiltà è favorire l'espressione delle idee, non limitarla, che è controproducente. Le idee non sono tutte giuste né meritevoli di rispetto, ma soffocarle è un modo efficace di alimentarle. Le idee sbagliate, tipo la discriminazione per religione o orientamento sessuale, vanno contrastate, smontate, umiliate e sgretolate con forza, affinché e fino a che non siano rifiutate liberamente da chi le professa. È impegnativo, ma contribuisce a provare e rafforzare pure le idee migliori: ogni tesi per progredire ha bisogno della sua antitesi. Pensare di imporre un'idea per legge è indice di debolezza e infatti vi ricorrono le dittature, deboli per definizione.

Quando si soffoca un'idea non è lei a morire ma la libertà di esprimerla.

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