Danilo Toninelli, il ministro per caso dei Cinquestelle più celebre per le impietose imitazioni di Crozza che per la sua attività politica, ieri in aula al Senato ha esultato e festeggiato, alzando il pugno chiuso, l'approvazione del decreto per la ricostruzione del ponte di Genova, manco avesse segnato il gol decisivo in una finale di Champions League. Uno spettacolo terrificante, condito con «cinque» battuti tra lui e alcuni senatori grillini. Voglio capire. Che cosa c'è di straordinario se un governo vara un decreto per avviare la ricostruzione di un ponte caduto e aiutare oltre duecento famiglie sfollate? Mi sembra il minimo sindacale. Semmai c'è da vergognarsi per il ritardo (sono passati ben tre mesi), l'incertezza del futuro (ancora non si sa come e quando l'opera sarà terminata) e la furbata di inserire nel provvedimento il condono edilizio di Ischia caro a Di Maio. Per questo c'erano da aspettarsi delle scuse, non l'esultanza da ultrà con tanto di cicca americana masticata con gusto manco fosse al bar - che mal si concilia con il rispetto che si deve all'aula del Senato e, soprattutto, alle 43 vittime del crollo.
Mi rendo conto che una macchietta quale è Toninelli consideri la normalità un clamoroso successo. Il suo partito lo aveva di recente silenziato, imbarazzato dalle sue gaffe (celebre quella sul traffico nel tunnel del Brennero, che non esiste) e nessuno poteva immaginare che un banale e scontato voto in aula su una tragedia nazionale potesse finire in farsa se affidato alle sue mani e alla sua bocca. Chi lo ha liberato dall'obbligo di residenza nel suo ufficio e della consegna al silenzio non ha però tenuto conto dell'ottavo corollario alla legge di Murphy che recita: «I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere».
Consoliamoci, però, perché ogni volta che Toninelli apre bocca o appare in pubblico, i Cinquestelle perdono consenso. Montanelli sosteneva che «non c'è miglior alleato di un nemico cretino».
Lunga vita quindi a Toninelli che con la politica «non c'entra una ceppa» per usare le stesse parole pronunciate ieri da Di Maio per aprire l'ennesimo scontro con Salvini (questa volta sui termovalorizzatori al Sud invocati dal leader leghista). Ma che c'entriamo noi con 'sta gente? Una ceppa, per l'appunto.
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