Cronache

"L'eroe silezioso" in un documentario inedito: nel '43 salvò decine di internati militari italiani

Spagnolo Spagnoli era il gestore del buffet alla stazione di Viareggio, dove passavano i convogli verso i campi di concentramento

"L'eroe silezioso" in un documentario inedito: nel '43 salvò decine di internati militari italiani

Questa storia narra il gesto di resistenza di un uomo comune, Spagnolo Spagnoli, e dei suoi cinque amici che rischiarono la vita per salvare dei soldati italiani dalla furia nazista. Una storia rimasta nel silenzio per oltre 70 anni, narrata in un documentario ancora inedito: “L’eroe silenzioso”, del giovane regista Massimiliano Montefameglio. A lui, l’unico testimone oculare di quella vicenda, il pittore viareggino Giorgio Michetti, ha trovato dopo tanti anni il coraggio e la forza di raccontare, richiamando alla memoria e portando alla luce episodi di uno dei tempi più bui della storia dell’umanità. “La guerra era finita e di quegli orrori nessuno ne voleva più parlare” – spiega a chi gli chiede perché non l’abbia mai raccontata prima. Michetti oggi ha 106 anni, all’epoca dei fatti era un soldato poco più che trentenne, protagonista in parte e spettatore unico di ripetuti salvataggi di soldati italiani deportati nei campi di concentramento, gli Imi: “Internati militari italiani”.

L’amico di Michetti, Spagnolo Spagnoli, l’eroe silenzioso del documentario, era il gestore del buffet della stazione di Viareggio. Davanti ai suoi occhi transitavano i convogli: “Erano i treni dei nazisti, vagoni del bestiame - dice Onorato Spagnoli, figlio di Spagnolo – che portavano i rastrellati in Germania, non solo soldati, tra loro c’erano anche civili”. Soldati che non si piegarono al potere tedesco, per questo arrestati e deportati. Tra 800mila e un milione di soldati, secondo l’ultimo censimento ancora in corso. La stragrande maggioranza arrivava dai contesti in cui gli italiani avevano combattuto a fianco dei tedeschi, soprattutto i Balcani e la Grecia. Poi, all’indomani dell’8 settembre del 1943, quando fu reso pubblico l’armistizio, l’ordine della Wehrmacht alle proprie truppe fu quello di prendere il controllo delle caserme, degli obiettivi sensibili, di disarmare i soldati italiani che diventarono, nel giro di poche ore: “traditori asserviti a Badoglio”.

Alcune divisioni dell’esercito nazista del terzo reich erano già da qualche mese presenti sul nostro territorio. Ufficialmente la motivazione era quella di sostenere l’esercito italiano contro gli Alleati sbarcati in Sicilia e su altre zone dell’Italia, come in Versilia, ma in verità si trattava di una vera e propria occupazione che Hitler aveva avviato già dall’estate. Di tutti i deportati, solo 150 mila scelgono successivamente di giurare fedeltà al Reich e alla Repubblica Sociale Italiana. Gli altri rifiutano. Circa 700mila rimangono nei campi di lavoro, schiavi di Hitler ma liberi di non combattere per lui. Tanti, tantissimi muoiono, chi riesce a scampare alla morte e torna a casa, nell’estate del ’45, è irriconoscibile. Ma qualcuno in quel viaggio allucinante verso l’annientamento della dignità umana, verso lo spegnimento di ogni forma di carità e compassione, trova la salvezza. Spagnolo Spagnoli e i suoi cinque amici che lavorano con lui al buffet della stazione provano e riprovano di notte, di nascosto. Ognuno ha un ruolo ben preciso. Il meccanismo deve essere perfetto, niente deve andare storto. Con uno stratagemma che il regista non vuole rivelare prima della proiezione del documentario, Spagnolo Spagnoli e i suoi amici riescono letteralmente a farli sparire sotto gli occhi dei nazisti. “Se per caso i tedeschi se ne accorgevano – ammette Giorgio Michetti con una voce che porta ancora l’impronta della paura - succedeva una carneficina. Quanti ne ha salvati non lo so…cinque, dieci, venti. Ne ha salvati tanti”.

E’ anche questa una storia di opposizione al fascismo: “Quella degli Imi che non si piegarono ai nazisti - spiega lo storico Gianluca Fulvetti - fu una prima pagina di resistenza che però, a differenza di quella partigiana o gappista, avvenne al di fuori dei confini italiani. Una pagina troppo a lungo trascurata e che avrebbe meritato più attenzione. E anche dentro i confini nazionali - continua lo storico - gesti di resistenza civile di persone comuni, come quelli narrati nel documentario, ce ne sono stati molti, penso alle tante donne che rifocillavano, nascondevano e rifornivano di abiti i sodati che abbandonavano le guarnigioni. Gesti poco conosciuti rispetto ad altri”. La proiezione del documentario, prodotto da Rossocarminio e Franca Polizzano con il sostegno della Regione Toscana, farà da anteprima alle celebrazioni del Giorno della Memoria a Pietrasanta, la città dove oggi le gallerie d’arte sono così fitte da essere soprannominata “La piccola Atene”, tra il mare e la vicina Sant’Anna di Stazzema, dove il 12 agosto del ’44 furono trucidate dalla furia nazista 560 persone, per lo più donne e bambini. In quegli luoghi vicini alla linea gotica, dove tanti partigiani lottarono - la storia è nota- per la libertà di tutti, e dove tante persone comuni, meno note, come Spagnolo Spagnoli, si sono rese protagoniste di gesti altrettanto eroici. Anche quella fu l’Italia dopo il ‘43. Un tessuto umano in cui la resistenza fu un insieme eterogeneo di gesti di resistenza, di uomini diversi tra di loro, con vite diverse e che vivevano contesti diversi. Ma con una cosa in comune. L’eroe silenzioso e la storia di Spagnolo Spagnoli ci consegnano un messaggio di speranza: l’uomo sa distinguere il bene dal male e sa lottare, unito, per il bene. Al di là di ogni ideologia.

Un messaggio di speranza per la nostra Italia.

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