Cronache

"Liliana Resinovich si è suicidata": la relazione choc

Le conclusioni degli esperti a sette mesi dal misteriosa morte della 63enne triestina: "Asfissia causata dai sacchetti compatibile con il suicidio"

"Liliana Resinovich si è suicidata": la relazione choc

Liliana Resinovich "si è suicidata". È la conclusione a cui sono giunti i periti incaricati dalla Procura di Trieste degli accertamenti cadaverici sulla salma della 63enne triestina morta in circostanze verosimilmente sospette. Nelle 50 pagine della perizia - pronta a marzo ma resa nota soltanto oggi per motivi "tecnici", scrive l'Adnkronos che ha visionato in esclusiva la relazione - il medico legale Fulvio Costantinides e il radiologo Fabio Cavalli ritengono che Liliana "abbia fatto tutto da sola".

Il "giallo" del cadavere

Liliana Resinovich, 63 anni, ex dipendente della Regione, scomparve la mattina del 14 dicembre 2021 dalla sua abitazione senza lasciare tracce. Era stato il marito, Sebastiano Visitin, ad allertare la polizia sollecitato dal fratello della vittima, Sergio Resinovich. In prima istanza, gli investigatori ipotizzarono un allontamento volontario ma poi, le indagini condotte dalla Squadra mobile avevano suggerito nuovi scenari. Quella mattina Lilly avrebbe dovuto incontrare un amico, Claudio Sterpin, ma non si presentò mai all'appuntamento. Era uscita di casa senza portare con sé né la borsa né il cellulare. La vicenda aveva poi preso una piega inaspettata quando, lo scorso 5 gennaio, era stato trovato il corpo senza vita di una donna - "con occhiali e giubbino grigio" - nei pressi del quartiere dove la 63enne viveva col marito, vicino all'ex ospedale psichiatrico del capoluogo triestino. Il cadavere era avvolto in tre sacchi neri: uno attorno al corpo e due, più piccoli, le cingevano la testa.

La relazione degli esperti

Sin da subito gli inquirenti avevano ventilato l'ipotesi che si trattasse di un suicidio. Quest'oggi è arrivata la conferma definitiva: Liliana Resinovich si è tolta la vita. Secondo i periti incaricati dal pm Maddalena Chergia, la 63enne sarebbe "morta per asfissia" respirando, cioè, l'andride carbonica formatasi all'interno dei sacchetti che aveva attorno al collo. Nella relazione, i tecnici hanno altresì precisato che il decesso sarebbe avvenuto "due o tre giorni prima del ritrovamento" del cadavere. I risultati dell'autopsia e degli esami tossicologici - che esclusono l'assunzione di droga o farmaci - farebbero dunque propendere per un gesto che non ha coinvolto terze persone. I sacchi intonsi che contenevano il corpo della vittima "sono poco compatibili con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo in ambiente impervio - scrive l'Adnkronos rilanciando uno stralcio della relazione - e di qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui".

Il fatto che i sacchetti non sono stati trovati stretti al collo "non esclude - secondo i consulenti - una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l'inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l'accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell'ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto".

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