L'inciviltà con le ladre rom è solo figlia dell'impunità

L'inciviltà con le ladre rom è solo figlia dell'impunità

L a gabbia. Come quella in cui fu chiuso a Coltano il grande Ezra Pound. Coltano non è nemmeno tanto lontano da Follonica, ma questa volta non c'è di mezzo l'immane disastro della Guerra mondiale e il mondo diviso in due, con gli sconfitti dietro il filo spinato. No, ora c'è solo quella tragedia che è l'imbecillità umana, condita con istinti criminali, e mostrata con orgoglio in un video, come se si trattasse di un trofeo di caccia.

E invece lo strepitoso bottino chiuso in quella specie di pollaio è formato da due donne: due nomadi che tremano, gridano di paura, vorrebbero solo uscire da quella trappola perfida e umiliante. Scherzo o vendetta, perché la coppia era stata sorpresa a rovistare dove non doveva, poco importa: siamo fuori dal perimetro della convivenza civile.

E dunque ci preoccupiamo, perché invece è dentro quel perimetro, un tempo ben marcato e oggi dai confini sempre più evanescenti, che sta succedendo qualcosa di pericoloso: la convivenza forzata con il degrado, con la microcriminalità che parla tutte le lingue del mondo, con la precarietà più precaria portata da clandestini, profughi, disperati di tutti i tipi, sta alimentando in tutti gli angoli d'Italia risposte sempre più cupe e selvagge: se intorno a me c'è un pezzo di far west - è il ragionamento - allora tanto vale che io mi metta la stella e impugni la pistola a mia volta. Inutile girarci intorno fingendo di non vedere: se pezzi interi di città sono assediati da torme di uomini e donne che non lavorano, non si sa dove dormono e non si integrano in alcun modo, il tutto nell'assenza riverniciata di buonismo delle istituzioni, allora dobbiamo aspettarci il peggio. Non è catastrofismo, è che una risposta qualcuno prima o poi deve darla. Se le regole vengono calpestate con disinvoltura e nessuno le fa rispettare, arriverà infine qualcuno che farà di testa sua. Lo spiegava un sociologo acuto come Francesco Alberoni: il disprezzo, nei confronti di chi appare lontanissimo dalla grammatica della nostra civiltà, è l'anticamera del razzismo. E il razzismo, innescato dalla miccia lunga dell'esasperazione e della povertà crescente, può generare mostri di sangue e di morte.

Bisogna lottare per non disperdere fra fiammate di rabbia e veleni i tanti tesori della nostra civiltà. Tollerante e anzi inclusiva.

Ma allo stesso tempo deve arrivare alle orecchie dei nostri naviganti un avviso forte e chiaro: sottotraccia il drago soffia, nel letargo di chi dovrebbe mettere un argine, spegnere i focolai, risolvere le situazioni, disinnescare le tensioni, anche solo restituire ai nostri figli il campetto o il parco invasi da un'umanità spesso, troppo spesso, strafottente e impunita. C'è il pericolo, andando avanti cosi, che l'Italia si risvegli un mattino con uno strano umore e offra allo specchio una faccia mai vista prima: incattivita e feroce.

Stefano Zurlo

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