
Sarebbe grottesca, e persino ridicola, la spocchia con cui una parte della classe dirigente della sinistra italiana ha commentato il matrimonio di Jeff Bezos a Venezia, se non fosse il sintomo evidente di qualcosa di più profondo e preoccupante: un'invidia sociale viscerale, accompagnata da un senso di superiorità morale che ormai rischia di compromettere le fondamenta stesse del pensiero progressista nel nostro Paese. L'ostilità verso il fondatore di Amazon che ha scelto l'Italia per celebrare le sue nozze non è rimasta confinata a qualche battuta di spirito o a un certo fastidio estetico. Ha assunto i toni dell'odio ideologico, trasudato da editoriali, dichiarazioni di amministratori locali, intellettuali da salotto e commentatori più o meno accreditati. Un disprezzo antropologico che si esprime non sulla base dei fatti, ma del pregiudizio, e che porta molti a rinnegare, senza rendersene conto, proprio quei valori di inclusione sociale, progresso e riconoscimento del merito che dovrebbero essere l'ossatura di una sinistra riformista.
La tre giorni veneziana tra gondole, ricevimenti e passerelle secondo i dati diffusi dal Ministero del Turismo, ha generato un impatto economico positivo per centinaia di milioni di euro, portando ricchezza a lavoratori, artigiani, alberghi, ristoranti, bar, fornitori, tecnici, personale di sicurezza. Eppure, ciò che avrebbe potuto essere letto come un esempio virtuoso di promozione del Paese e di redistribuzione della ricchezza è stato liquidato come un'ostentazione di lusso, se non addirittura una provocazione. Eppure, proprio i simboli di quell'evento avrebbero dovuto essere valorizzati da una visione autenticamente progressista. A indignarsi se proprio avrebbero dovuto essere le élite più conservatrici, custodi dell'immobilismo sociale. In laguna non si è celebrata la ricchezza ereditaria dei rampolli di casate secolari, cresciuti tra castelli, collegi svizzeri e circoli velici d'élite. No, il matrimonio di Jeff Bezos rappresenta tutt'altro: la dimostrazione plastica di un sistema che, pur tra limiti e contraddizioni, continua a consentire l'ascesa di individui di talento, capaci di emergere per merito. Bezos è l'incarnazione dell'ascensore sociale: figlio di una madre adolescente e di un patrigno immigrato da Cuba, ha costruito una delle aziende più innovative al mondo partendo da un garage. Certo, i toni, i gusti, le mise e le scelte estetiche di chi non ha ricevuto lezioni di bon ton da un istitutore britannico possono apparire un po' kitsch. Ma ciò che conta è la sostanza: la possibilità di scalare la società grazie alla creatività, all'iniziativa personale e al lavoro. Dov'è, in tutto questo, il problema per la sinistra?
Il vero cortocircuito sta proprio qui: in un'ideologia che, perdendo il contatto con la realtà, si rifugia in una estetica della povertà, dove ogni espressione di successo diventa sospetta, ogni manifestazione di benessere un affronto. In questo schema, anche la scelta di affidare la cena nuziale al più giovane chef stellato d'Italia, i dolci alla promessa della pasticceria francese, o gli abiti a due stilisti italiani celebrati nel mondo, viene letta come esibizione arrogante, non come valorizzazione del merito. Ma l'aspetto più incredibile e politicamente grave è la rimozione del concetto stesso di redistribuzione. Già, perché i milioni spesi da Bezos per il suo matrimonio in Italia non sono rimasti chiusi in un forziere offshore. Sono stati messi in circolo: hanno pagato stipendi, creato occupazione, prodotto valore economico. Se avesse tenuto quei soldi sotto il materasso, sarebbe stato più accettabile per i sacerdoti del rigore morale? Evidentemente sì. Per una certa sinistra, pur di evitare lo scandalo del lusso, si accetta persino che i poveri restino tali, purché i ricchi non osino far vedere che spendono.
È un atteggiamento noto. Lo abbiamo visto in passato con la tassa sugli yacht, che distrusse migliaia di posti di lavoro nell'industria nautica italiana senza minimamente intaccare i patrimoni dei proprietari, che semplicemente spostarono i loro scafi all'estero. L'effetto fu solo quello di colpire operai e imprese locali. Ma si sa: l'importante è punire chi ha successo, non creare opportunità per chi ne ha bisogno.
Oggi, nel racconto di certa intellighenzia radical chic, merito, mobilità sociale, redistribuzione della ricchezza e promozione culturale del Paese sono diventati valori sospetti. E chi li incarna viene trattato come un nemico di classe.
Così, invece di chiedersi perché in Europa non nasca da decenni un'impresa innovativa come Amazon, e cosa serva per creare un terreno fertile per simili storie, si finisce per prendersela con il fondatore colpevole di essersi sposato nella città più bella del mondo.Un Paese che odia chi ce la fa, prima o poi, finisce per impedire anche agli altri di provarci. E la sinistra, se vuole davvero tornare a parlare alle persone, farebbe bene a ricordarselo.