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L'italiano che vuole fare il coreano

Nelle ultime 48 ore, nel clima di alta tensione del momento, sono fioccate decine di minacce su tutto il globo.

L'italiano che vuole fare il coreano

Nelle ultime 48 ore, nel clima di alta tensione del momento, sono fioccate decine di minacce su tutto il globo. Da Mosca a Kiev, da Washington a Bruxelles fino ad arrivare a Pechino, tutti si sono dedicati a manifestazioni di forza. Due avvertimenti, però, si sono ammantati di una vena paradossale, per non dire caricaturale.

Il primo è stato quello del dittatore Kim-Jong-un che, per ricordare al mondo la propria pazzia, ha lanciato il missile più grande esistente sulla Terra, scaraventandolo in un tratto di mare che dista appena 170 chilometri dal Giappone. Una manifestazione di «celodurismo» alquanto costoso per i suoi sudditi, servito solo a difendere il primato nella classifica della follia. L'altra minaccia un po' surreale è quella del leader (ancora illegale) dei 5stelle, Giuseppe Conte, che - in una situazione in cui al problema del Covid e agli impegni presi per il Pnrr si è aggiunta non dico una bazzecola di poco conto, ma una guerra -, ha minacciato una crisi di governo se Mario Draghi investirà il 2% del Pil in spese militari.

Ora, tenendo conto della congiuntura internazionale, minacciare di mandare a casa un esecutivo somiglia, per citare il vecchio Mao, al ruggito di una tigre di carta. Più che una minaccia è un peto. Ma questo fa parte dei riti stravaganti di cui la politica italiana non riesce a liberarsi neppure nella tragedia. Solo che l'assenza di freni inibitori nell'usare questo linguaggio da parte di un ex premier preoccupa. Perché da una parte sta a significare che Conte non ha imparato nulla dalla sua permanenza a Palazzo Chigi; dall'altra è la conferma che nei due anni di pandemia siamo stati governati da un presidente del Consiglio che il senso di responsabilità non sa neppure dove stia di casa.

E ci è andata bene che non sia ancora lì. Immaginate il governo Conte alle prese con una guerra. Già solo l'idea fa venire i brividi. Ma, soprattutto, sorprende il motivo del contendere, quel 2% di Pil. Il leader dei 5stelle, infatti, non contesta che si debbano inviare le armi all'Ucraina, non discute su quel 2% calcolato in un certo modo, ma da buon populista di ritorno osserva che ci sono altre priorità tipo imprese e famiglie. Affermazione giusta quanto ovvia. Solo che stiamo parlando di un 2% che stanno mettendo in bilancio anche gli altri Stati europei per difendere il Vecchio continente con un esercito autonomo degno di questo nome, visto che gli Stati Uniti non vogliono più assumersi questa responsabilità da soli. E probabilmente, se l'Europa si fosse dotata prima di un apparato militare all'altezza lo stesso Putin ci avrebbe pensato due volte prima di fare il bullo. In più la Ue, a stare all'antica lezione latina si vis pacem, para bellum che, non fosse altro per gli studi fatti, Conte dovrebbe conoscere bene, con un esercito comune avrebbe ben altro peso nella diplomazia di queste ore.

Tutti argomenti che il Kim-Jong-un nostrano a quanto pare non comprende. Passi che non ci arrivi il guevarista Di Battista o qualche altro parlamentare grillino scappato di casa, ma che la questione non sia presa sul serio da un ex premier, alleato prediletto del Pd atlantista di Enrico Letta, fa impressione.

È la prova che, purtroppo, da noi la politica si è ridotta a folklore.

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