Un governo liberale e dal grande profilo riformista dovrebbe smantellare il reddito di cittadinanza, non foraggiarlo. Non solo perché si tratta di una costosissima cambiale, a spese del contribuente, firmata dal Movimento 5 Stelle per assicurarsi Palazzo Chigi nel 2018. Ma, soprattutto, perché è una cattiva lezione e una pessima abitudine che lo Stato fornisce ai suoi cittadini. In un'economia sana si retribuisce il lavoro, non il non lavoro. Per questo la pressione del Partito Democratico e dei grillini sul governo per rifinanziare con due miliardi il sussidio è un ricatto irricevibile. Servono soldi per la ripartenza - come ha più volte sottolineato il premier -, serve la scintilla che metta in moto il motore del Paese, non un metadone che anestetizzi le sofferenze economiche senza fornire una valida via d'uscita dalla palude della stagnazione. Il governo di Mario Draghi ha tracciato orizzonti di grandi opere e di riforme che l'Italia attende da anni, ora non può inciampare nella contraddizione del mantenimento di un sussidio così iniquo.
A due anni dalla sua nascita, possiamo affermare che il reddito è fallito per alcuni maiuscoli ed evidenti motivi: non ha creato reinserimento nel mondo del lavoro, ma anzi ha dato vita a una legione di furbetti che si sono intascati il sussidio per poi reimmergersi nel mondo del nero. Non ha neppure abolito - come era ovvio - la povertà, che invece è cresciuta. Nell'anno della pandemia le famiglie in difficoltà sono balzate dal 6,4% del 2019 al 7,7%, per un totale di 5,6 milioni di persone indigenti. Con un paradosso: il 47% delle famiglie più povere vive al Nord, solo il 38% al Sud, cioè dove il sussidio viene maggiormente percepito. Facciamo un esempio: nella sola Campania hanno il reddito più nuclei familiari che in tutto il Nord Italia.
Siamo di fronte a un reddito di mezza cittadinanza, perché una parte intera d'Italia - guarda caso quella che non ha votato in massa i Cinque Stelle - non viene coperta dall'ombrello (bucato) del sussidio, mentre tutto il Paese ne deve pagare il conto salato: 8,6 miliardi di euro nel 2021, quasi un quarto del denaro stanziato dal Recovery per lo stesso anno. A farne le spese, ancora una volta, è il ceto medio, la parte più produttiva e meno tutelata del Paese, l'unica che può farci ripartire.
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