L'onda degli indignados cambia volto alla Spagna

Podemos trionfa, Ciudadanos si consolida grazie ai voti dei giovani spagnoli I Popolari studiano le contromosse, Rajoy riflette su un cambio ai vertici locali

Il leader di Podemos Pablo Iglesias lo pronosticava da mesi: la cavalcata per cambiare per sempre il volto politico della Spagna sarebbe cominciata da Madrid. E così è stato.

Nella capitale, roccaforte del Partido popular da ben 24 anni, la candidata aveva un nome forte come quello della presidentessa Esperanza Aguirre: ma non sarà lei a ricoprire la carica di sindaco. Ha ottenuto solo un seggio in più (21) dell'avversaria Manuela Carmena, magistrato in corsa nella lista AhoraMadrid , appoggiata tra gli altri proprio da Podemos. E i 20 scranni di Carmena diventano 29 in coalizione con il Psoe. È tutto qui il paradosso che, per il partito del premier Rajoy, si ripete identico a livello nazionale: prendere più voti degli altri, ma essere comunque il protagonista di una sonora sconfitta. Che se a Madrid è epocale per ragioni storiche e simboliche, non è meno scottante altrove. Le maggioranze assolute perse, tra Regioni e Comuni, sono 500. Tanto che, il giorno dopo, il tema nel partito è il rinnovamento dei vertici, anche a livello locale. Il Psoe si è difeso, con un calo di due punti, dal 27 al 25%. Ma la vittoria, netta, è tutta dei nuovi partiti, quelli che hanno saputo proporre idee nuove di fronte alla Grande Crisi.

Prima di tutto di Podemos, formazione anti-austerity da sempre: Iglesias ha gemellato il suo partito, fin dalla fondazione ufficiale un anno e mezzo fa, con quello del presidente greco Alexis Tsipras. E nemmeno le recenti difficoltà di quest'ultimo ne hanno scalfito la forza in terra iberica. Sul partito del «codino» Iglesias non ci sono dati nazionali, perché si è presentato ovunque dentro liste locali: ma basta la conquista anche dell'«altra capitale», Barcellona, dove la paladina del movimento antisfratti Ada Colau ha battuto il sindaco uscente Xavier Trias. Gli ex indignati sono cresciuti, e ora vogliono parlare.

Vince anche Ciudadanos: se Podemos è il partito della rivoluzione, la formazione arancione di Albert Rivera è quello del rinnovamento «gentile». Meno arrabbiato, forse, ma ugualmente ostinato nel propagandare la necessità di un cambiamento rispetto alla vecchia politica. È stato il voto dei giovani a incidere di più nelle urne: tra loro ci sono gli ex mileuristas , quella «generazione mille euro» cha dopo dieci anni vive ancora di lavori precari, e nel frattempo magari ha pure messo su famiglia, ma non ha guadagnato certezze sul futuro. E sono i neo-diciottenni, cresciuti nelle grandi città, che cercano risposte diverse in un mondo dove cambia tutto tranne le disuguaglianze. Voti di rottura contro l'establishment, da parte di due generazioni cresciute sì nell'Europa, ma a cui quest'Europa distante che dà ordini dall'alto, così com'è, non piace più.

PP e Psoe, insieme, hanno ancora il 52 per cento dei voti. Ma ne hanno persi, in quattro anni, oltre 3 milioni (il PP 2,5, i socialisti 700mila). «Fine delle maggioranze assolute, degli automatismi, di chi ignora le opposizioni. Ora tocca fare politica», ha scritto Albert Rivera su Twitter. E la politica spagnola, da ieri, passerà molto di più per accordi e compromessi. Tutt'altro che scontati. Nei quali grossa voce in capitolo l'avranno proprio i due outsider .

Specie in vista del grande appuntamento con le politiche, a novembre: «Affrontiamo con energia la sfida per la vittoria», ha detto un agguerrito Iglesias.

Twitter @giulianadevivo

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