Cronache

L'ospedale salva-bimbi che batte gli inglesi

L'ospedale salva-bimbi che batte gli inglesi

D ei 10.104 medici italiani fuggiti all'estero in dieci anni, del loro stipendio medio di 32.600 euro - penultimo in Europa - e dei 5mila camici stranieri che hanno lasciato il nostro Paese, oggi ai genitori di Tafida non interessa nulla.

Leggere la realtà attraverso i numeri è come leggere una lastra: utile, ma non sempre sufficiente ad avere una panoramica completa. Assuefatti al senso di nausea per statistiche drammatiche sul nostro sistema sanitario abbandonato a se stesso, persi nel quadro fosco delle carenze di organico, degli errori, delle aggressioni e delle formiche in corsia, troppo spesso ci dimentichiamo l'altra metà del cielo. Ovvero quei professionisti e quelle strutture che - in direzione ostinata e contraria a un Paese che non li merita - continuano come se nulla fosse a essere eccellenza. Cercando di salvare vite che erano date per perse.

L'ospedale Gaslini di Genova - che ieri ha annunciato l'uscita dalla rianimazione di Tafida, la bimba a cui i medici inglesi non davano alcuna possibilità di cura, tanto da volerne interrompere le funzioni vitali - è stato indicato come il miglior centro di Reumatologia pediatrica d'Europa; impiega 31 fra i «top scientists» d'Italia; esegue 29mila ricoveri l'anno di cui il 41% da fuori Regione o dall'estero. I numeri, ancora loro, ci dicono che il Gaslini è un fiore all'occhiello della Sanità pubblica. Ma di nuovo non ci dicono tutto.

Perché se al Gaslini si è riusciti a dare «tempo e speranza» a una bambina che i medici inglesi (non delle Isole Andamane o del Biafra, ma gente che ha studiato a Oxford o Cambridge) ritenevano spacciata, non è un miracolo. Né tanto meno una fortunata coincidenza o peggio ancora un caso. Il Gaslini funziona perché è stato ed è ben amministrato, perché ha investito nel merito e nelle specializzazioni, perché le retribuzioni sono soddisfacenti, l'organizzazione dei turni efficiente. Così come Tafida non è uscita dalla Rianimazione per grazia ricevuta, altrettanto l'eccellenza sanitaria non càpita, ma va perseguita.

Oggi siamo tutti giustamente orgogliosi di quei medici, esaltiamo la loro competenza, li abbracceremmo tutti perché oggi l'Italia grazie a loro sarà un po' meno vilipesa in giro per il mondo. Ma quanto durerà questo orgoglio? Semplice: quanto quello dei tifosi della Nazionale vincente pronti a fischiare quella che perde, non illudiamoci. Gli eroi in camice di oggi saranno gli obiettivi dei tagli di spesa e dell'aumento delle tasse di domani, nell'Italia che prima fabbrica i santi e poi li mette in saldo come capri espiatori.

Invece, ora che l'impressione per la loro impresa è ancora forte, sarebbe utile fissare in mente una cosa: questo è il valore incredibile dell'eccellenza italiana quando la competenza è l'unica Stella polare. Pensiamo a cosa sarebbero tanti ospedali italiani, già presi a modello nel mondo, se solo l'intero sistema (fisco, politica, ecc) giocasse al loro fianco.

Un'ultima lezione da mandare a memoria: «Non sempre si può guarire, ma è sempre doveroso prendersi cura», ha dichiarato il direttore generale del Gaslini. Come a dire: nessuno spaccia l'illusione che Tafida sarà per sempre sana, salva e vigorosa, ma abbiamo fatto quello che era umanamente possibile. E forse un po' di più.

Non è forse questa l'anima stessa dell'eccellenza? Ricordiamocelo anche quando la Tafida di turno non ce la farà e nessuno scriverà di quei dottori.

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