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Le libertà che potrebbero non tornare

C'è stato un altro momento della nostra recente storia in cui abbiamo applaudito alla rottura delle garanzie liberali del vivere civile

Le libertà che potrebbero non tornare

C'è stato un altro momento della nostra recente storia in cui abbiamo applaudito alla rottura delle garanzie liberali del vivere civile. È stato quello di Mani pulite. Anche in quel caso c'era un'emergenza, anche in quel caso eravamo tutti d'accordo nel combatterla, anche in quel caso abbiamo piegato le regole alla soluzione del problema. Molti, non tutti è ovvio, oggi sanno che danni ha fatto cedere un pezzo di politica alla magistratura. Molti, non tutti è ovvio, oggi riconoscono come l'abuso della carcerazione preventiva sia diventato una costante. Siamo riusciti a mettere sotto processo regioni, funzionari pubblici, esperti dei terremoti e ministri sull'altare del primato della Giustizia. Abbiamo talmente impaurito questo Paese, i suoi funzionari migliori, i suoi imprenditori più intraprendenti, da rallentare ogni decisione per la paura di finire sotto processo. E non si è certo sradicata la corruzione.

L'operazione è perfettamente riuscita, abbiamo cancellato una classe dirigente e politica, ma il paziente, l'economia italiana e un pezzo di libertà, è morto.

Oggi ho l'impressione di trovarmi in una situazione simile. Stiamo operando, forse bene, ma rischiamo di uccidere l'economia di questo Paese. Nessuno nega l'emergenza, basta farsi un giro in un ospedale. Così come nessuno negava il livello della corruzione italiana durante Mani pulite. Ma oggi come allora abbiamo scelto una strada, largamente condivisa da opinione pubblica e giornali, che rischia di metterci su un sentiero di cui ci pentiremo. La via facile, non coraggiosa caro ministro degli Interni, è quella di limitare le libertà individuali. La Salute viene prima di tutto. Ma perché non farlo rispettando le regole? Perché non essere chiari? Perché creare un nemico immaginario (i runner et similia) a cui attribuire le colpe di un governo che fino a ieri negava l'emergenza? Perché non farsi votare dal Parlamento il restringimento delle libertà, di modo che nel futuro nessuno si possa svegliare, per la prossima emergenza, e fare altrettanto? Qualcuno, quando domani la crisi economica sarà micidiale, potrà forse opporsi ad un Decreto ministeriale che ci toglie quattrini, o adotta prelievi forzosi, o comprima le libertà economiche? Magari per risolvere la tragedia economica che seguirà la chiusura del Paese? In un rincorrersi di emergenze. Quando si imbocca la via della schiavitù, uscirne è difficile. A tutti coloro che apprezzano queste misure eccezionali, occorrerebbe fare un test di controllo: per quanto tempo sono disponibili ad accettarle.

Mi chiedo e chiedo a tutti coloro che cantano dai balconi, mentre sono agli arresti domiciliari, perché la furia (giustificata dall'emergenza) che ha compresso i loro diritti, non abbia compresso e spazzato via le regole della pubblica amministrazione? Perché per comprare mascherine e respiratori ci vuole una gara Consip? Perché per avere 600 euro ci vuole un pin e non basta un accredito sul nostro conto, che lo Stato già conosce? Perché per ottenere la cassa integrazione c'è l'obbligo del consenso preventivo dei sindacati? Perché è possibile mettere in galera chi esce di casa, ma non si può dire ai sindacati che lo sciopero oggi è vietato? Perché le nostre scadenze fiscali sono rimaste più o meno intatte e invece l'Agenzia delle entrate si è presa due anni in più per accertare i redditi del 2015?

Io una risposta ce l'ho. Abbiamo un pregiudizio ideologico. Quello espresso da tanti commentatori di questi giorni: chissenefrega delle libertà individuali. Difendere le libertà individuali oggi, vuol dire difendere il nostro modo di vita, la nostra civiltà. Lo Stato è indulgente verso se stesso e diventa spietato nei confronti dei cittadini. «Un popolo che ha paura del governo subisce una tirannia, un governo che teme il giudizio del popolo è espressione di libertà» diceva uno dei padri della costituzione americana.

C'erano strade diverse? Il modello cinese, ripreso a singhiozzo dall'Italia, è stato chiudere tutto. Molti Paesi europei lo stanno adottando. Ma con sfumature diverse: e questo non è un dettaglio in termini di salvaguardia delle libertà individuali. Come ho già scritto, ad esempio, la forma con la quale si restringono le libertà non è un giochetto. Altri Paesi hanno ridotto la libertà alla riservatezza (privacy) che se mi permettete è di grado inferiore, per così dire, rispetto a quella dello spostamento. Altri hanno obbligato ad uno screening di massa. Altri (Israele) hanno preventivamente ridotto le libertà per fasce di popolazione più soggette alla mortalità da virus. Altri (i tedeschi) hanno «ospedalizzato» meno i malati.

Non penso che ci sia un modello giusto. Ma farsi delle domande non è, il caso di dire, lesa maestà.

Mi permetterete una citazione conclusiva, che spero non appaia troppo pomposa. È l'orazione funebre di Pericle, che tanto piaceva a Popper e che ne fece un simbolo della società aperta: «Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e, benché soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica, ma come indispensabile premessa ad agire saggiamente».

Insomma almeno permetteteci di avere qualche dubbio sulle libertà sottratte senza definirci degli sciacalli.

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