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Un mese per il rimpasto. Nasce l'asse dei Matteo

Ora, finalmente, potrà consumarsi questa improbabile crisi

Un mese per il rimpasto. Nasce l'asse dei Matteo

Ora, finalmente, potrà consumarsi questa improbabile crisi.

Concluso ieri a tarda sera il suk a favore di telecamere in quel di Camera e Senato, infatti, da oggi Giuseppe Conte aprirà la battuta di caccia. L'obiettivo è quello di temporeggiare due-tre settimane, arronzare a Palazzo Madama un gruppo di disponibili-costruttori e poi imbarcarsi - più o meno allegramente - in un rimpasto. Facendo di tutto per evitare la formalizzazione del Conte ter. Che implicherebbe un altro passaggio in Parlamento, con annesso spettacolo da mercato del pesce ad uso e consumo dei media. E, quindi, non solo del nostro sbigottito Paese, ma anche di un'Europa che ci sta guardando allibita. Non a caso, anche al Quirinale pare non vedano con favore un bis del passaggio parlamentare, difficilmente comprensibile in un'Italia che dovrebbe avere oggi ben altre priorità.

D'altra parte, è evidente che i numeri portati a casa ieri sera a Palazzo Madama - 156 sì contro 140 no, ma con la maggioranza assoluta a quota 161 - servono a soddisfare i manuali di diritto Costituzionale, legittimando formalmente la sopravvivenza di un governo che annaspa ogni ora di più. Politicamente, però, resta il gigantesco problema di un esecutivo che naviga a vista, con numeri che sono destinati ad aprire un imponente pantano nei lavori parlamentari, soprattutto nelle Commissioni del Senato. È qui, infatti, che la maggioranza di governo non ha i numeri per andare avanti. Potrebbe far fatica nella conferenza dei capigruppo, certamente annaspa in alcune Commissioni chiave, a partire dalla Bilancio. Ma si naviga a vista anche nelle commissioni Ambiente, Difesa, Esteri, Scuola e Sanità. Un disastro, soprattutto se Matteo Renzi dovesse decidere di fare ingerenza col nemico.

E questa è l'impressione che si ha dalla giornata di ieri. Dal fronte centrodestra, ma pure dalla ridotta di Italia viva, ieri diversi senatori raccontavano di ripetuti contatti diretti tra i due Mattei. Salvini e Renzi, uniti non solo dal comune destino di aver tentato di archiviare l'era Conte, ma anche dal telefono. E ora pronti a valutare possibili azione coordinate per raggiungere l'obiettivo. Il leader della Lega e quello d'Italia viva si sarebbero confrontanti pure sull'eventualità che i 18 senatori renziani potessero votare contro invece di limitarsi all'astensione, scenario archiviato quando il pallottoliere ha lasciato intendere che lo strappo di Iv rischiava comunque di non mandare a casa l'autoproclamato «avvocato del popolo». Anche se, per studiare la situazione fino all'ultimo minuto utile, Renzi ha fatto sapere a Salvini che avrebbe atteso la seconda chiamata. I due, poi, avrebbero convenuto sulla necessità di aprire un vero e proprio Vietnam a Palazzo Madama, con l'obiettivo di far saltare al più presto la raccogliticcia maggioranza che si è andata saldando ieri. Soprattutto nelle Commissioni, con i numeri di oggi non è un'operazione così complessa.

È per questo che Conte sarebbe disponibile a mettere sul piatto tutto quanto ha a disposizione. Non solo un posto nella futura Lista Conte, offerta che ha molto appeal su deputati e senatori che con il taglio dei parlamentari non sanno dove sbattere la testa per essere ricandidati. Ma anche posti di governo, sottogoverno, partecipate e quant'altro possa interessare. D'altra parte, tolte le poltrone liberate da Teresa Bellanova, Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto, nella squadra di governo i margini di manovra sono comunque limitati. A differenza dei voti che mancano a Conte in Senato per sperare in una navigazione che consenta almeno la sopravvivenza.

Da oggi, dunque, si aprono le danze. Si trattano poltrone - e più d'un responsabile ambisce a quella dell'Agricoltura - e si cerca la stampella del governo che verrà. Con Conte che si gioca tutto, ma con il Pd - e per certi versi anche il Quirinale - che iniziano a temere i contraccolpi di un'operazione che potrebbe essere più spericolata di quanto si fossero aspettati. Una crisi permanente - di un mese o più e con la caccia grossa ai responsabili - rischia infatti di compromettere l'immagine delle istituzioni nel loro complesso, soprattutto in un momento come questo in cui il Paese ha evidentemente altre priorità. Non è un caso che ieri a tarda sera il centrodestra abbia iniziato a chiamare in causa il Colle. Il tutto mentre al Senato regnava sovrano il caos, con i numeri della fiducia bloccati nell'attesa che i video verificassero se il voto di tal Alfonso Ciampolillo, ex grillino, fosse stato espresso o no in tempo utile. Polemiche, risse, Var in stile Serie A e senatori in mezzo all'emiciclo a protestare.

Forse, solo il prequel di quello che ci aspetterà nelle prossime settimane.

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