Guerra in Ucraina

Il metodo Berlusconi per negoziare

Convivere con la guerra di Putin, rivivere i veti di Erdogan. Nello scacchiere mondiale messo sottosopra dall'invasione russa in Ucraina, l'Occidente gioca la partita più dura dal crollo del muro di Berlino.

Il metodo Berlusconi per negoziare

C onvivere con la guerra di Putin, rivivere i veti di Erdogan. Nello scacchiere mondiale messo sottosopra dall'invasione russa in Ucraina, l'Occidente gioca la partita più dura dal crollo del muro di Berlino contro due ex amici che hanno intrapreso strade pericolosissime per cinici disegni da potenze subcontinentali.

Già, ancora i veti di Erdogan, la storia moderna che si ripete nel giro di appena 13 anni. Nell'aprile del 2009, allora primo ministro della Repubblica di Turchia, tenne sotto scacco la Nato sulla designazione del nuovo segretario generale. Raggelò per mesi i Paesi membri con lo stop sul nome del premier danese Anders Fogh Rasmussen per una vicenda di libera stampa su vignette che raffiguravano Maometto. La rappresentazione pubblica del braccio di ferro tra potenze fu la famosa telefonata di Berlusconi che in 32 minuti convinse Erdogan a concedere il via libera alla nomina di Rasmussen. Fu decisiva la sua soluzione prospettata alle parti per risolvere la questione insuperabile di una tv danese ritenuta troppo vicina al Pkk da Ankara. Una grande vittoria per l'Alleanza atlantica, ma che in Italia la sinistra ridusse a un atto di maleducazione del presidente del Consiglio italiano perché fece attendere la cancelliera Merkel durante la cerimonia di Strasburgo per i 60 anni della Nato. E così un successo per il nostro Paese fu relegato all'ennesimo sketch della «politica del cucù» per delegittimare Berlusconi dinanzi all'opinione pubblica mondiale. E oggi, a furia di considerare con snobismo pratici strumenti negoziali, se ritenuti naïf o poco solenni, si è arrivati drammaticamente alla stasi delle trattative, sovrastate dal clangore dei cingolati russi. Mancano i leader, soprattutto il personaggio che sappia aprire un serio tavolo di pace. È l'ora del colpo di genio, dell'intuizione fuori dagli schermi. E pazienza se si infrangono il protocollo o antiche consuetudini ministeriali.

La Storia insegna quanto abbiano inciso antipatie o amicizie personali tra i grandi della Terra sull'esito di negoziati. Prima di salvare l'Occidente da Hitler, Roosevelt considerava Churchill un ubriacone, ricambiato con sussiego da sir Winston come un incivile che mescolava il vermuth dolce nel gin. I negoziati sono fatti da uomini, come adesso contrapposti tra persone di buona volontà e invasori sprofondati nel vortice di scelte distruttive.

Ci si aggrappa a tutto per salvare vite, anche a piccoli gesti che potrebbero risultare miracolosi.

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