Qualche numero sull'immigrazione, utile a chi confonde la politica con i buoni sentimenti, interpreta ogni preoccupazione come xenofobia, ritiene che la manodopera proveniente dal Terzo mondo sia un toccasana «perché ci pagherà la pensione», chiede una decrescita felice al fine di correggere le ingiustizie del rapace neoliberismo. Ieri Il Sole 24 Ore ha pubblicato i dati sui flussi migratori internazionali dal 2000 alla fine del 2015. La fonte è l'Onu. In estrema sintesi, nel mondo ci sono 244 milioni di immigrati (definizione ufficiale: persone che vivono in un Paese diverso da quello in cui sono nati). Pochi rispetto alla popolazione mondiale di 7,4 miliardi? Forse. Però l'incremento, rispetto all'inizio del secolo, è pari al 41 per cento. Il Vecchio continente è la meta principale: ospita 76 milioni di «stranieri», più dell'intera Asia (75) e dell'America del Nord (54). Nel dettaglio, gli Stati Uniti sono ancora titolari del sogno americano: assorbono un quinto del movimento mondiale (47 milioni). Subito dopo ci sono Germania e Russia a pari merito (12 milioni). Nell'Europa occidentale, il rapporto tra stranieri residenti rispetto alla popolazione è mediamente del 14 per cento. In Italia gli stranieri sono più che raddoppiati (da 2,1 a 5,8 milioni). La maggior parte degli immigrati è in età lavorativa ma gli over 65 sono in costante aumento soprattutto in Europa. Nell'analisi che accompagna le statistiche, il demografo Gian Carlo Blangiardo nota che qualche ansia è legittima e ricorre alla metafora della bomba da disinnescare. Se esplodesse, il flusso potrebbe raddoppiare ogni trent'anni.
Le disuguaglianze tra Occidente e Terzo mondo ci sono ma si parte soprattutto dalle aree a medio reddito. Per ora. Nel prossimo ventennio, sarà necessario incentivare la crescita delle regioni più povere. Ci vogliono infatti posti di lavoro per assorbire l'incremento demografico e devono essere solidi per evitare un'ulteriore ondata di partenze. Questo sarebbe auspicabile anche da un punto di vista morale: o preferiamo che i giovani del Terzo mondo non abbiano alternativa e siano costretti a riporre ogni speranza di miglioramento nell'abbandonare il proprio Paese? Infine, l'emergenza rifugiati resta gravissima ma si rivela aspetto peculiare di un problema molto più ampio. Di fronte a un quadro simile, diventa chiara la portata epocale delle migrazioni.
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