Cronache

La morte lunga e atroce a bordo: tutti i misteri della Moby Prince

Trent'anni dopo il disastro del Moby Prince una nuova Commissione d'inchiesta proverà a fare chiarezza sulla più grande catastrofe della marineria italiana

La morte lunga e atroce a bordo: tutti i misteri della Moby Prince

Erano da poco passate le ore 23.30 quando una nuvola scura si levò nella rada del porto di Livorno. Il traghetto Moby Prince, in navigazione da circa un'ora, arse tra le fiamme a seguito della collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Centoquaranta persone, tra cui donne e bambini, morirono in mare. Centoquaranta. A trent'anni dalla più grande sciagura della marineria italiana, una nuova commissione d'inchiesta cercherà di chiarire tutti i dubbi che, ancora oggi, gettano ombre sulla tragedia. Cosa accadde davvero la sera del 10 aprile del 1991?

La collisione

Alle ore 22.25 del 10 aprile del 1991, il traghetto Moby Prince, di proprietà della Nav.Ar.Ma., entrò in rotta di collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. L'impatto tra le due imbarcazioni fu tale che, nel giro di pochi minuti, divampò un vasto incendio alimentato dal petrolio fuoriuscito dalla petroliera. Ben 140 persone, tra cui donne e bambini, morirono in mare. Soltanto Alessio Beltrand, un giovane mozzo, riuscì a salvarsi. Il 28 maggio 1998 la nave, posta sotto sequestro probatorio, affondò nelle acque del porto di Livorno mentre era ormeggiata alla banchina; fu poi recuperata e avviata alla demolizione in Turchia. Da quel momento calò il silenzio sul più grande disastro marattimo italiano.

I dubbi e i misteri irrisolti

Cosa accadde sul serio quella sera? A trent'anni dalla tragedia, i dubbi sulle dinamiche del disastro sono ancora molti. Troppi. In tre decadi, nessuno è riuscito a trovare una spiegazione a quella immane catastrofe. Si è detto tutto e il contrario di tutto ma la verità resta ancora sepolta in mare. Come ben ricorda il Corriere della Sera, la collisione avvenne per motivi "apparentemente inspiegabili". Qualcuno attribuì le cause delle collisione a condizioni di "scarsa visibilità marittima" ma, tra i testimoni della sciagura, c'è chi giura il contrario. Altri parlano di un ordigno esploso a bordo del Moby Prince in quanto, successivamente ai fatti, furono rinvenute tracce di semtex, un particolare tipo di esplosivo usato durante gli attentati. Non mancarono poi, le ipotesi più fantasiose circa un'improbabile disattenzione dell'equipaggio, distratto dalla semifinale di Coppa Uefa tra Juventus e Barcellona. Ipotesi e illazioni che ancora oggi stridono con l'enormità della tragedia.

I processi e le indagini

Tre processi e le indagini non hanno ancora dissipato l'alone di mistero che avvolge la catastrofe. Un giallo a tinte purpuree che porta dietro di sé lo strascico di 140 vittime innocenti. Nel 2018, la Procura di Livorno riaprì il caso. "È stata una strage e dunque, come ha riconosciuto la procura di Livorno, può essere ancora perseguita perché non è prevista per questo reato la prescrizione", commentò al tempo Carlo Alberto Melis Costa, legale dei familiari delle vittime. Nell'esposto si ipotizza non solo un dolo eventuale ma anche diretto sulle responsabilità della tragedia. Le nuove indagini si concentrarono su presunte "gravi omissioni nei soccorsi" e su eventuali carenze nelle dotazioni interne della nave, tra cui un sistema antincendio efficiente e la mancanza di maschere antigas. Ma si parlò anche di tentativi di manomissioni dopo la sciagura al timone e soprattutto di un depistaggio delle indagini.

"Una buona parte erano cotti. Il ferro del traghetto ha riscaldato la carne, l’ha arrostita, ma non l’ha bruciata. Le due persone ritrovate in sala macchine, dove non è mai arrivato niente, sono state soffocate dai fumi e anche loro cotte ma dopo parecchie ore", dice a le pagine de L'Espresso Loris Rispoli, presidente dell’associazione “140”, in memoria delle vittime. "Li hanno lasciati morire", continua. Trent'anni dopo, ancora nessuna verità.

La nuova commissione d'inchiesta

I familiari chiedono ora una bicamerale che possa proseguire oltre la scadenza della legislatura, "fino al raggiungimento del suo scopo". Per averla si sono battuti Luchino e Angelo Chessa, figli di Ugo, il comandante del Moby Prince morto in plancia, che guidano l’associazione 10 Aprile-Familiari vittime Moby Prince Onlus, e Nicola Rosetti, vicepresidente dell’associazione dei 140 familiari vittime Moby Prince. Restano per ora le conclusioni della prima commissione parlamentare presieduta dal senatore Silvio Lai. Nella quale si escludono colpe da parte dell’equipaggio e del comandante Ugo Chessa, che morì sulla plancia di comando e anche la presenza della nebbia. E si evidenzia la posizione in zona di divieto della petroliera Agip Abruzzo e un’alterazione della rotta del Moby.

I familiari hanno anche fatto istanza civile contro i ministeri di Trasporti e Difesa "per inadempienze riguardo il controllo del porto di Livorno e l'assenza di soccorsi al Moby Prince" ma il tribunale fiorentino l'ha respinta "con una motivazione che non prende in considerazioni le conclusioni della commissione parlamentare, creando un corto circuito tra i poteri della Stato".

"Sulle responsabilità dell'incidente e sulle circostanze che l'hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce. L'impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune", ricorda in occasione del trentennale della triste ricorrenza il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Tutti vogliono giustizia.

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