Multiculturalismo. Persino "Micromega" non ne può più

A sostenere il multiculturalismo sono rimasti il Partito democratico e una parte del mondo cattolico

Multiculturalismo. Persino "Micromega" non ne può più

A sostenere il multiculturalismo sono rimasti il Partito democratico e una parte del mondo cattolico. Tutti gli altri hanno capito che non funziona: divide e non integra. La città si frammenta in tante piccole patrie, spesso tra loro ostili. Manca un'idea di convivenza, un accordo su regole comuni. Lo Stato si ritira, prevalgono le leggi della tribù, «le ragioni del sangue», come le chiamava Tom Wolfe. Ogni minoranza chiede di essere riconosciuta come tale e avanza richieste legislative su misura. Il mancato riconoscimento è una forma di oppressione. Lo Stato deve quindi intervenire con politiche del riconoscimento a vantaggio delle minoranze. Le rivendicazioni di un numero crescente di minoranze (spesso astoriche e inventate di sana pianta) portano «a leggi diseguali caratterizzate da eccezioni», come ha spiegato (inutilmente) Giovanni Sartori. I diritti di cittadinanza dello Stato liberale sottraggono l'individuo all'arbitrio perché le leggi si applicano senza distinzioni. Al contrario, la moltiplicazione dei diritti, attribuiti in funzione dell'appartenenza a una minoranza culturale o etnica e protetti da leggi ad hoc, porta alla frammentazione e reintroduce l'arbitrio. Allo Stato è attribuito il dovere di intervenire e il potere di discriminare.

Il libro di Cinzia Sciuto Non c'è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo (Feltrinelli) si inserisce in questo dibattito con idee molto precise. La laicità dello Stato è intoccabile perché difende dai soprusi di qualunque religione. Abbiamo un problema con gli immigrati musulmani: affermarlo non significa essere razzisti. La islamofobia è una invenzione utile a tappare la bocca agli avversari. «La legge è uguale per tutti» è il principio fondamentale. Non è ammissibile che certe comunità si diano regole diverse e pretendano un ordinamento giuridico «flessibile» davanti alle loro richieste. Non c'è fede che tenga è una mosca bianca nella saggistica italiana, che ripete i soliti lacrimevoli luoghi comuni. La sua autrice è redattrice di Micromega, la rivista della sinistra «girotondina». Le idee di Sciuto sono ben diffuse all'interno della destra liberale che ha come riferimento, tra gli altri, il Sartori di Pluralismo, multiculturalismo e estranei (Bur). Le osservazioni sulle comunità musulmane sono calzanti e corrispondono, almeno in parte, a quanto ha scritto il sociologo Stefano Allievi, tra i massimi esperti della materia. Forse questo saggio potrebbe essere l'inizio di un dialogo tra mondi che si sono presi a mazzate per vent'anni. Un terreno d'incontro c'è. Non stupisce quindi il contenuto del libro.

Stupisce che il Partito democratico non sia in grado di formulare una politica chiara sul tema dell'immigrazione, si limiti a un generico buonismo e si aggrappi a teorie economiche discutibili secondo le quali gli stranieri «ci pagheranno le pensioni». Stupisce anche la mancanza di prospettiva, che non sia la semplice accoglienza cristiana, delle cooperative e associazioni cattoliche. Salviamoli, certo. E poi?

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