A che punto è la notte americana? Sarà alla fine eletto un nuovo imperatore (o imperatrice) dell'Occidente, o una sorta di primo ministro all'inglese che baderà soltanto ai fatti interni, come potrebbe essere Bernie Sanders? Potrebbe persino, fra una settimana, decidere di scendere in campo l'altro miliardario in panchina, Michael Bloomberg ex sindaco di New York, che è un conservatore abortista e pro gay, il quale dice di volere evitare agli americani una scelta radicale fra opposti estremismi. Gli indipendenti di solito fanno una brutta fine, ma azzoppano quello che potrebbe vincere. Il socialista Sanders sopravvive col fiato corto ma con entusiasmo.
Quanto a Trump, la sua candidatura è ormai reale. Che diranno, se sarà eletto, coloro che come i parlamentari inglesi ne hanno chiesto la messa al bando o il Papa che lo ha sbattezzato come non cristiano? Trump fino a un mese fa sembrava un matto, ma oggi tutti ammettono che quel matto era per istinto in perfetta sintonia sia con il ceto medio dei colletti bianchi, delle «nuche abbronzate» (gli agricoltori) e anche una parte dei blue collars, la classe operaia e dei latinos che decideranno alla fine chi vince e chi perde. Chi perderà di sicuro sarà senz'altro l'America «wasp» (bianca protestante e di madrelingua inglese) ormai ai margini a causa della crescita degli afroamericani e delle potenti minoranze cubane, messicane e asiatiche. L'America è oggi un'altra America e non sa come disegnare il suo identikit. I candidati ci provano, ma la scommessa è totalmente aperta. Con l'America tutto il mondo aspetta di vedere se la più antica democrazia repubblicana del mondo avrà ancora voglia di guidare l'impero o se si chiuderà in se stessa per leccarsi le ferite.
Trump dunque ha vinto nel South Carolina: non è mai accaduto che il vincitore delle primarie in South Carolina perdesse poi la nomination per la Casa Bianca. Ma stavolta potrebbe anche succedere: quelle di novembre sono elezioni in cui l'America sarà costretta a scegliere fra due identità, quella obamiana e quella dei neo-repubblicani legati al ceto medio. La lunga presidenza di Obama ha provocato guai in politica estera senza avere aggiustato granché in casa (se non stampando miliardi di banconote) e ha portato a un bivio: o mantenere la società del dinamismo estremo, persino ingiusto, selettivo e competitivo (ma che produce ciò che nessun altro Paese è in grado di produrre) oppure diventare ciò che non è mai stata e cioè un Paese «come gli altri». Bernie Sanders, che è stato nettamente sconfitto da Hillary in Nevada, vuole un'America come gli altri Paesi del mondo e piace ai giovani, anche neri e in generale a tutti coloro che hanno sviluppato un anticorpo che rigetta l'identità americana come la conosciamo noi europei.
Di questo si rendono conto i candidati perché sono consapevoli del fatto che se la posta in gioco è così alta, il risultato resta imprevedibile: America versus America. Gli Stati Uniti potrebbero diventare l'Ussa, Unione degli stati socialisti d'America con Bernie Sanders, oppure la grande potenza planetaria ricostruita da Trump insieme ai cubani di destra, conservatrice ma non reazionaria perché compassionate (sensibile alle questioni sociali) e dalla parte delle minoranze: Trump vuole il muro col Messico, ma le sue maestranze sono messicane e lo adorano. Ricambiate. Che cosa potrebbe essere e diventare dunque la destra americana? Quanto la si potrebbe considerare «di destra» se messa a confronto con le politiche del conservatore britannico David Cameron che va di traverso all'Europa, ma non troppo? O di Marie e Marion Le Pen figlia e nipote dell'ultra radicale di destra Jean-Marie? O del nostro Matteo Salvini che ha invitato Marion Le Pen ad aprire a Roma la campagna elettorale? E Vladimir Putin (che ha espresso un clamoroso gradimento per Trump «molto divertente e pittoresco») va considerato un conservatore o no? Le destre del mondo vanno in ordine sparso, ma con un denominatore comune: quello di alzare un «Vallo di Adriano» o come quello che fece costruire Marc'Aurelio e che poi sarebbe il muro, il solito muro per impedire il flusso ingovernabile non soltanto dei movimenti migratori, ma dei movimenti portatori di criminalità, terrorismo, violazione di ogni protezione di sicurezza, della privacy, delle identità culturali. L'America non ha che due confini: il Canada di lingua (anche) francese e il Messico latino. Ma ha un confine marittimo con Cuba e la cubanizzazione degli Stati Uniti è ormai un dato di fatto imponente che paradossalmente è in conflitto con la caduta del muro dell'Avana, realizzato dal trio Papa Francesco-Raul Castro-Barack Obama.
I cubani come Rubio e Cruz rappresentano la resistenza anticomunista cubana, gli espatriati, in certi casi la Vandea. E questa frazione così attiva degli Stati Uniti è in conflitto con il regime cubano che ha incassato la fine dell'isolamento senza concedere nulla sul piano delle libertà civili. Due dei tre concorrenti rimasti in gara nel campo repubblicano hanno una genetica anticomunista molto forte. E Trump, che non è cubano, vuole come Adriano il suo «Vallo di Donald» o la lunga Muraglia cinese lungo la frontiera col Messico perché il Messico si sta riversando negli Stati Uniti ed è a sua volta invaso dal Guatemala più povero e disperato. Il protezionismo delle frontiere è dunque il fattore comune all'americano Trump, all'inglese Cameron, alle francesi Le Pen, a Berlusconi, a Salvini, alla Russia di Putin, ai governi di Vienna, Budapest, Varsavia ed è entrato anche nel Dna tedesco e della stessa Merkel dopo gli stupri di Colonia. La parola «muro» checché ne dica papa Bergoglio che si circonda di altissime mura vaticane, non è più una parolaccia ma una politica difensiva di chi vuole mantenere il controllo sulle migrazioni e non subirle come alluvioni o pestilenze. Trump, per non mandare più in bestia i conservatori del suo partito, ha smussato l'aggressività iniziale e usa un linguaggio controllato. In due giorni ha lanciato il nuovo slogan: «Mai più un americano morirà per strada perché non ha soldi». Martellante. Vuole smantellare il sistema sociale sanitario di Obama e promette una sanità uguale per tutti, senza però che lo Stato federale si accolli i suoi costi. Trump vorrebbe entrambe le cose: un'America socialmente attiva e protettiva, ma anche risorta militarmente così da ridurre l'Isis a polpette e spendere in sicurezza interna. Il suo punto d'onore sta nel non dipendere dalle lobby che si comprano i candidati, perché lui fa campagna soltanto col suo portafoglio, mentre gli altri - Marco Rubio come la Clinton - spendono centinaia di milioni in spot pubblicitari gentilmente offerti dai Pac, che sarebbero i finanziamenti di lobby private. In campo repubblicano breve e finto lutto per il ritiro di Jeb Bush, fratello e figlio di presidenti. Con lui Trump è condiscendente: «Jeb è una bravissima persona, buona per un'altra volta, non era questo il suo momento».
I due dioscuri rampanti di marca cubana, Marco Rubio e Ted Cruz, sono testa a testa e se Trump vincerà, uno dei due latinos sarà candidato per la vicepresidenza. Dopo un presidente nero, una donna alla Casa Bianca o un'invasione di cubani anticastristi.Paolo Guzzanti- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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