I colori della pelle ravvivano quelli monotoni del caseggiato. A rompere il silenzio sono le voci multietniche della gente e il rombo dei motori delle auto e delle moto che la attraversano. In questa babele di lingue e costumi, i palazzoni alti e vecchi schermano i raggi del sole creando un’ombra che scurisce il giorno.
Siamo in via Oronzio Costa, nel cuore di Napoli (guarda il video). Il quartiere è quello di San Lorenzo, è immerso nel rione Forcella. Giovani poco più che ventenni, che aspiravano a conquistare Napoli a suon di spari, l’hanno marchiata come la “via della morte”. Con la strategia del terrore hanno provato a renderla off-limits.
Lì si sparava "come in Iraq", dicevano gli affiliati al clan emergente dei Buonerba, i cosiddetti “capelloni”, appellativo che gli è stato attribuito per le lunghe barbe diventate icona della loro identità criminale. Oggi sono in prigione. Associazione camorristica, omicidio e detenzione di armi sono alcuni dei reati per i quali hanno perso la libertà. Delle loro ambizioni malavitose, dei progetti di morte, ne parlavano al telefono, in casa davanti a bambini di pochi anni di età. Era il 2015, ed erano in guerra con la “paranza dei bambini” per prendersi Forcella. Il periodo in cui quei ragazzi scatenati seminavano la paura con le armi, i residenti lo ritengono superato. L’ultimo episodio di sangue che ricordano risale a quasi due anni fa: l’omicidio di Emanuele Sibillo, il 19enne ritenuto a capo della baby cosca rivale. Poi ‘stese’, ferimenti. Per gli abitanti che abbiamo incontrato, si è trattato di episodi isolati. Parlano di quel momento come un vecchio, brutto ricordo. Ad eccezione di un ragazzo, che muovendo la testa ha ammesso a microfono spento l'inaccessibilità della strada a partire dalle prime ore della sera, tutti riferiscono di vivere tranquillamente. “Qui la morte non c’è”, sostengono. Degrado e miseria, sì. Ma non la morte. Eppure le armi ancora circolano: nei giorni scorsi la Polizia di Stato ha scovato una pistola nell’appartamento del fratello minore di Gennaro Buonerba, il presunto baby boss dell’omonimo clan, oggi in carcere.
La vita tranquilla dei residenti
“Nell’ultimo anno, negli ultimi due anni, c’è stata un po’ di confusione tra giovanotti. Litigavano, sparavano. Adesso si sta tranquilli”, dice Carmine, un “veterano” di via Costa. Passa parte del suo tempo a osservare il viavai all’entrata della strada, dalla parte di piazza Enrico De Nicola, seduto all’ingresso del locale di un amico. A pochi passi c’è un commissariato della Polizia di Stato, sullo sfondo il più antico castello di Napoli, Castel Capuano, un tempo sede del tribunale (guarda le foto). Sulla loro testa c’è l’insegna “Vini Vini”. Di lato, il cartello “affitto”. Dietro, un passato lungo 150 anni. “La camorra sta ovunque, sta nell’ombra. C’è un’infestazione, perché non hanno un lavoro, i soldi. Un ragazzo che prende 20 euro al giorno, che ha il diritto di fare l’amore, fidanzarsi, di andare a ballare, di mangiare un gelato, con 20 euro come fa?”, riflette il proprietario 70enne, che fino alle 7 di sera resta nel locale ereditato dal padre. Per lui la vera rogna, in quella strada e in tutta la città, è la miseria. Fa notare l’assenza di attività commerciali e sottolinea: “Il delinquente non te lo fa chiudere il negozio, perché vuole la tangente”.
Il deserto commerciale e culturale
Il commercio in via Costa non esiste. Lungo il cammino - circa 100 metri di tragitto - c’è solo un negozio. “Quest’attività ce l’abbiamo da 17 anni – racconta la figlia della titolare – e non abbiamo mai avuto problemi. Nell’orario di negozio non abbiamo mai assistito a scene strane. Noi siamo al sicuro qui, ci troviamo benissimo e vogliamo continuare quest’attività di generazione in generazione”. In passato - si ricorda in giro - un paio di altri negozi c’erano, ma hanno serrato le porte. “Non per motivi legati alla criminalità”, sostengono delle persone del posto. Un deserto, insomma. Dal punto di vista commerciale e culturale. Prima c’era una scuola, di essa è rimasta solo una tabella all’esterno. “L’hanno chiusa due anni fa”, riferisce la donna che vive nel basso di fronte. Attività educative per i giovani non se ne fanno in loco. La gita fuori porta organizzata dal prete è il massimo diversivo che coinvolge gli abitanti della strada, poi più nulla. Il sacerdote che se ne occupa è don Carmine Amore, parroco da 7 anni della vicina chiesa di Santa Caterina a Formiello. Per lui in via Oronzio Costa oggi c’è serenità: “Tranquillamente non ci si sta, ma un po’ più sereni, sì. Ci sono stati degli episodi, sono passati due anni, per qualche situazione di faida, ma attualmente non noto che ci sia la ripresa di questa situazione negativa”, dichiara. Per il prelato, la zona deve fare i conti con un problema più grande in questo momento: “Il disagio di essere circondati da tanti immigrati che non vengono controllati. Fanno quello che vogliono, come dei cani sciolti. Ed è pericoloso. Hanno coltelli, prendono bottiglie, usano violenza con pietre, accendono roghi, sporcano, vendono droga”. Il riferimento è alle decine e decine di immigrati che stazionano ogni giorno, a tutte le ore, nella stradina adiacente la chiesa, sotto Porta Capuana, porta antica, edificata nel 1484 per garantire l’accesso alla città da est. “La zona – asserisce don Carmine nella sua sagrestia - soffre in questo periodo il non saper gestire da parte delle istituzioni la presenza di tanti immigrati”. Allestiscono mercatini con il materiale scovato nei rifiuti o, semplicemente, stanno lì a bivaccare. A volte non si reggono in piedi per l’alcol o le sostanze stupefacenti che assumono. Diverse sono le aggressioni registrate nella zona, anche di recente. “Le istituzioni – è il monito del sacerdote - devono fare in modo che questi fratelli possano comprendere il rispetto degli altri luoghi, e quindi rispettare le leggi e cercare di fare qualcosa, perché continuamente piazza Porta Capuana diventa scontro, violenza. Napoletani che vengono continuamente aggrediti, spaccio e vendita di droga”. Di questi disagi parlano anche alcune delle persone incontrate in via Oronzio Costa, per le quali questa sarebbe la loro seccatura. Oltre alla prostituzione.
L’alcova h24
Nei vicoletti stretti, bui e vuoti che agganciano via Oronzio Costa al resto di Napoli, appaiono donne che, in abiti succinti, sedute su una sedia o sui gradini dei bassi, aspettano in silenzio. Sono per lo più di origini africane. Nei dedali del centro storico hanno trovato una vetrina a cielo aperto per offrire prestazioni sessuali agli avventori. I clienti devono addentrarsi con scooter o a piedi per poterle incontrare e chiedergli qualche ora di intimità. Il tutto avviene alla luce del sole e davanti agli occhi dei bambini. I residenti convivono praticamente con la prostituzione. “La zona della morte? - sbotta un nonno 76enne, che in quella zona ci è nato - No, purtroppo questa è diventata una zona di prostituzione. Noi abbiamo dei nipoti e non sappiamo come spiegarglielo. È questo che ci ha portato il degrado, non la delinquenza. Di delinquenza noi ne vediamo ben poca. Oppure ci sarà, ma è occulta, non si riesce a vedere”. “Questo è un fatto su cui dovrebbe intervenire il Comune, non i giornali”, asserisce.
Ma è evidente che le istituzioni sono assenti, e su questo sono d’accordo un po’ tutti. Più che la “via della morte”, via Oronzio Costa sembra una via “morta”, che non offre nulla a chi ci abita. Nessuna alternativa alla camorra. Ma per cancellare certi marchi si è sempre in tempo per fare qualcosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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