Nella Rsa dove l'umanità non rinuncia agli abbracci

Fuori le difficoltà sono tante, i numeri del Covid tornano a far paura, e gli anziani ricoverati nelle case di riposo continuano a soffrire per la lontananza dai propri cari

Nella Rsa dove l'umanità non rinuncia agli abbracci

C'è un abisso che separa il compitino da svolgere e la sfida da vincere. Fuori le difficoltà sono tante, i numeri del Covid tornano a far paura, e gli anziani ricoverati nelle case di riposo continuano a soffrire per la lontananza dai propri cari. È dalla prima ondata di marzo, che le case di riposo hanno ridotto gli incontri tra i ricoverati e i famigliari, messo in atto le drastiche misure di contenimento per scongiurare altri focolai, optato per le videochiamate. Altri centri, hanno sfruttato la bella stagione per organizzare le visite in giardino, o dal balcone. Comunque a distanza. I più ligi e ottusi invece hanno semplicemente negato i contatti pensando così di risolvere il problema alla radice, considerando la sofferenza, la demotivazione e la depressione il male minore. E così, in questi mesi di solitudine, molti anziani si sono lasciati letteralmente morire. Hanno smesso di mangiare, stanchi di aspettare, con il dubbio di esser stati dimenticati. Oggi invece la differenza la segna Elisabetta Barbato direttrice del Centro Servizi alla Persona Domenico Sartor di Castelfranco Veneto. È lei che insieme al suo team e al presidente Maurizio Trento hanno inventato il sistema capace di mettere il Covid tra parentesi. Ci voleva un'idea, semplice e per questo geniale, capace di aggirare l'ostacolo. Potevano trovarla in tanti, ma intanto l'hanno trovata loro. «Abbiamo inventato questo materiale plastico, trasparente e morbido che consente agli ospiti di tornare a riabbracciare la propria famiglia pur restando separati e protetti da possibili contagi». Sembra l'uovo di Colombo eppure è la soluzione capace di allungare la vita, di darle nuovo valore. Basta chiedere a chi l'ha provato per capirne il senso. «Ho provato un'emozione incredibile, indescrivibile: dopo sei mesi ho potuto tornare a dare una carezza sulla testa alla mia mamma Igina di 88 anni. E lei mi ha abbracciato forte come non mai». Tiziano, 59 anni, informatore medico è uno dei fortunati che ha potuto entrare in una delle due postazioni chiamate «Emozioni dell'abbraccio». «Un abbraccio - spiega Barbato che in questo progetto ci crede davvero - che non unisce solo due corpi ma due cuori e due menti creando e rafforzando le relazioni e l'intimità donando amore, calore e protezione». «Ma la cosa incredibile - racconta Tiziano - è il calore che si percepisce nonostante la plastica. Mia mamma non riusciva a crederci, mi ha stretto forte le mani e non le ha più lasciate. Per lei avere finalmente le mie mani da stringere è stata la sua ancora in mezzo a un mare di paure. L'ho tenuta stretta a me ed è stato come se tutti quei mesi di buio fossero passati».

I mesi passati non sono stati facili per loro come per tutti quegli anziani ricoverati. Anche se qui è sempre stata un'isola felice. «In primavera e in estate il centro ha consentito a tutti noi di fare visite ai nostri cari in giardino. Ma era tutta un'altra cosa, restare comunque a due metri di distanza era dura. Soprattutto per loro. Mia mamma ad esempio ne ha sofferto tanto e come molti suoi coetanei ha sofferto di un peggioramento cognitivo proprio per questa assenza». Il centro della Barbato non si è mai dato per vinto. E invece di arrendersi ha lottato per trovare una soluzione.

«Abbiamo fatto ricerche, abbiamo visto come facevano all'estero dove i problemi per Covid sono identici ai nostri.

Abbiamo studiato e disegnato direttamente i prototipi, siamo stati in fabbrica a discutere il progetto, abbiamo anche pensato al caso in cui la persona sia in sedia a rotelle». Forse bastava cercare per trovare. E invece troppo spesso ci si accontenta di chiudere le porte.

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