Cronache

Dal Nepal al Pakistan: quando la montagna ti concede la cima

Intervista all'alpinista Riccardo Bergamini, da poco tornato da una spedizione in Pakistan

Dal Nepal al Pakistan: quando la montagna ti concede la cima

La montagna è quanto di più fisico esista. È lì, immobile, alta migliaia di metri. È fatta di pietre, di alberi, di neve e di ghiaccio. Più si sale e più tutto, guardando giù, sembra piccolo. Nonostante la sua fisicità, la montagna è quanto di più metafisico ci sia su questa terra. Lo sa bene Riccardo Bergamini, alpinista esperto da poco tornato dal Pakistan.

Quali erano i tuoi obiettivi in questa spedizione. E perché hai deciso di andare proprio in Pakistan?

Ho fatto varie spedizioni in molte catene montuose del mondo: Nepal, Phamir, Tibet, Tenshinhan, Alaska, Sud America. In Pakistan non ero mai stato prima d'ora. Delle ultime quattro spedizioni ne ho fatte tre insieme a Matteo Stella, un amico che lavora a Courmayeur. L'anno scorso è venuto con me in Nepal e siamo stati in una vetta dove non era mai salito nessuno. Quest'anno sono andato in Pakistan e ho invitato di nuovo Matteo. Ero incuriosito da questo Paese, una nazione diversa dalle altre e mai vista. Ho dovuto scegliere come andare perché questo non è un periodo adatto per fare queste attività. Di solito si scala in estate, come da noi sulle Alpi occidentali. La mia scelta nasce da questa esigenza: volevo salire una montagna, in autunno, sperando di fare una via nuova e di essere in piena autonomia. E cioè senza guide e senza altre spedizioni. In poche parole: senza aiuti. Abbiamo fatto la scalata in stile alpino. Ci siamo legati ad una corda e siamo saliti.

La tua è stata una decisione molto particolare sia per il periodo sia per le modalità. Dove finisce l'incoscienza e dove inizia il rischio calcolato?

Più che incoscienza si tratta di sentirsi in cima alla montagna. Ho salito 8mila metri senza bombole di ossigeno, né in salita né in discesa. Se le avessi usate non mi sarei sentito in cima alla montagna perché avrei usato un espediente artificiale. Lo stile di scelta, lo stile alpino, risponde alle stesse esigenze. Nel caso in cui una guida avesse dovuto indicarmi la via da prendere, questo non mi avrebbe dato la sensazione di arrivare in cima con le mie forze.

Quando decidi di scalare una montagna, anche per allenamento, cosa ti spinge ad andare in cima a vette così difficili da raggiungere?

In primis mi piace la montagna, mi piace la natura. La montagna, inoltre, è uno stile di vita che apprezzo. Oltre alla forza fisica, all'allenamento e alla passione, per raggiungere una vetta serve umiltà. Perché alla fine è la montagna che ti “concede” di arrivare in cima. Basta il maltempo o la neve e non arriverai mai in cima, anche se sei il più forte. Poi, come detto, c'è il discorso relativo alla natura: i tramonti, le notti passate in alta quota, la sofferenza, il freddo. Per me raggiungere la cima rappresenta una doppia soddisfazione.

Ti è mai capitato di non raggiungere una cima?

Sì. Non esiste nessun alpinista al mondo che ci è sempre riuscito. Personalmente mi è capitato per brutto tempo. Ad esempio nel 2016, in Cina, in una montagna di 7500 metri non sono potuto salire e ho perso il materiale. C'è stata una bufera di neve e la spedizione si è conclusa in un nulla di fatto.

La montagna insegna tanto: lo fa anche quando toglie qualcosa come la cima?

Sì, perché la montagna è un insegnamento di vita. Per come la penso io oggi stiamo creando una società dove sembra che tutto sia dovuto. Invece per avere qualcosa, dal mio punto di vista, bisogna lavorare, soffrire e metterci la passione. E nonostante questo non sempre si può ottenere ciò che vogliamo. Questa è la vita. Oggi spesso tendiamo a dimenticarcelo.

L'interesse per la montagna sta aumentando. L'alpinismo è molto affascinante ma tu cosa consiglieresti a chi si approccia la prima volta a questa attività?

Chi umilmente si avvicina all'alpinismo farebbe bene a chiedere aiuto e a fare corsi specifici di preparazione, come quelli con il Club alpino italiano o con le guide alpine. A livello escursionistico negli ultimi anni sono aumentati i soccorsi perché molta gente si avvicina a questa attività senza avere umiltà e con un approccio sbagliato. Questo è dovuto anche ai social. Quando usiamo Facebook vediamo e condividiamo foto spettacolari. Sembra facile ma, in realtà, è difficile capire come quelle persone siano arrivate in quei posti, sapere se ci sono state difficoltà tecniche e via dicendo. Ti faccio un esempio. Io amo il mare, sono stato molte volte invitato all'arcipelago della Maddalena. Se un giorno volessi intraprendere il sub mi metterei in mano a un professionista. Nessuno, come si suol dire, nasce imparato.

Hai già il pensiero rivolto ad una nuova sfida?

Tutto è dovuto al momento. Nei Paesi come il Pakistan, anche per la logistica, bisogna agganciarsi alle agenzie locali. Ho chiesto informazioni per le montagne che sono al confine tra il Pakistan e l'Afghanistan. Fino ad un mese fa non ci pensavo, poi ho chiesto se da qui, dal Pakistan, si possono fare salite. Mi hanno detto che è possibile. Vediamo. Ci sono 7400 metri, si può fare la salita. Però è tutto tra virgolette perché vorrei tornare a fare un 8mila. Ho varie idee. Mi ha incuriosito il Pakistan e mi incuriosirebbe fare questa cosa tra il Pakistan e l'Afghanistan. È abbastanza unica, e non è la solita spedizione commerciale di ogni primavera all'Everest. A me, oltre la montagna in sé, piace conoscere anche le culture locali e come vivono le persone del posto. La scalata in Pakistan è una lezione di vita rispetto ad altre spedizioni in Nepal. Qui (in Pakistan, ndr) vedi molte meno donne in giro e c'è un'altra cultura. In Nepal tutto è fatto per scalare, tra negozi e shopping center. A Islamabad non c'è un negozio di alpinismo.

Qual è il popolo che ti ha colpito di più?

Ognuno ha le sue differenze. Mi porto nel cuore l'esperienza fatta in Perù. Ma mi sono fatto amici in Nepal, in Tibet, in Kirghizistan.

Qui ho legato molto con dei russi, perché all'epoca ce n’erano molti.

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