Cronache

"No alla revoca della pensione ai terroristi fuori dal carcere"

La decisione della Corte costituzionale: non si possono sospendere le pensioni ai mafiosi e ai terroristi che stanno scontando la pena in modalità alternativa alla detenzione

La Consulta: "No alla revoca della pensione ai terroristi che scontano la pena fuori dal carcere"

La Corte costituzionale attraverso la sentenza numero 137 depositata oggi, di cui il relatore è il giudice Giuliano Amato, si è espressa chiaramente: non si può sospendere la pensione ai mafiosi e ai terroristi che stanno scontando la pena fuori dal carcere. Stando al parere della Consulta, la revoca delle prestazioni assistenziali ai condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo - che stanno scontando la pena in modalità alternativa alla detenzione - è in contrasto con gli articoli 3 e 38 della Costituzione: il primo afferma che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge"; il secondo sancisce che "ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale".

"È irragionevole..."

Con la sentenza numero 137 è stata pertanto dichiarata l'illegittimità costituzione del comma 61 e, in via consequenziale, del comma 58 dell'articolo 2 della legge numero 92 del 2012. La Corte costituzionale ritiene "irragionevole" il fatto che lo Stato "valuti un soggetto meritevole di accedere a tale modalità di detenzione e lo privi dei mezzi per vivere, quando questi sono ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali". A sostegno della tesi viene fatto notare che, nonostante si tratti di persone che hanno violato il patto di solidarietà sociale che sorregge la struttura della convivenza civile, "attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere".

La Consulta ha sottolineato quanto contenuto nel comma 58: con la sentenza di condanna per i reati più gravi, "il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare" (indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili). Il comma 61 invece stabilisce che la revoca in questione, con effetto non retroattivo, "è disposta dall'ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato all'entrata in vigore" della legge numero 92 del 2012.

La questione di legittimità, sollevata dalla Prima Sezione lavoro del Tribunale di Roma e dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Fermo, riguarda proprio l'articolo 2 comma 61 della legge numero 92 del 2012 con il quale si è disposta la revoca automatica di determinate prestazioni sociali – come l'indennità di disoccupazione, l'assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili – alle persone già condannate in via definitiva per gravi reati tra cui quelli associativi con finalità mafiose o terroristiche.

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