Cronache

Non è solo terrorismo. L'altro islam: il caso della moschea di Sava

Nella terra di Sergio Sergio, nelle cronache per la vicenda di "lady Jihad", una comunità che con certe idee non ha nulla a che fare

Non è solo terrorismo. L'altro islam: il caso della moschea di Sava

C’è una terra in cui l’Islam si integra, in collaborazione con le autorità italiane. È la stessa di Sergio Sergio, balzato agli onori della cronaca, insieme alla sua famiglia, per le accuse di terrorismo internazionale mosse dalla procura di Milano. Un paradosso? Può darsi, ma la comunità islamica di Sava, in provincia di Taranto, è lontana anni luce da certe “suggestioni”.

Abbiamo visto da vicino la “moschea” di Sava: una villa di cemento grigio, due gatti che si rincorrono, giocando, nell’atrio della costruzione, di fronte a un deposito di giostre e, alla fine della strada, la campagna. C’è un piccolo ingresso dove ognuno lascia le proprie scarpe e poi il salone che accoglie gli uomini per la preghiera: “Venite potete entrare, per una donna non è un tabù”. Intorno alla “moschea” gli ulivi, simbolo di vita e di pace. Badar si chiama l'associazione che organizza la preghiera: “Badar è il quattordicesimo giorno del mese lunare in cui la luna è piena” hanno spiegato Firdous Salah, presidente della moschea; Faytah Bouchair, vicepresidente e Bouatioui Miloudi, segretario.

Ogni venerdì si riuniscono i musulmani della provincia di Taranto, per lo più immigrati, ma non manca anche chi si è convertito all’Islam da poco. “La maggior parte degli uomini che vengono a pregare lavora come ambulante, pertanto d’inverno ci sono meno persone ai riti. Si lavora anche meno e, per questioni economiche, ognuno resta a pregare nel paese dove vive.” Sono queste le parole del vicepresidente che misura il gesto sacro con la quotidianità di uomini venuti in Italia nella speranza di una vita migliore. Oltre alla preghiera ogni sette giorni, si riuniscono anche durante i funerali di uno di loro. Un rito durante il quale raccolgono una colletta per pagare le esequie, le spese di spedizione del corpo nel paese d'origine e per inviare danaro alle famiglie all'estero. Il senso della condivisione in una fede che vogliono professare pacificamente.

“Ci incontriamo per pregare anche durante altre feste della religione musulmana come la fine del Ramadan”, un momento di ristoro dello spirito. “Abbiamo chiesto la collaborazione del Comune di Sava per poter pregare in piazza nelle prossime occasioni” ci hanno raccontato, continuando “per dimostrare a tutti che siamo qui in pace, che la preghiera è gesto pacifico universale”. L'Amministrazione comunale non ha ancora risposto.

Moschea Sava

Moschea Sava

Due comunità si intrecciano tra loro e convivono pacificamente; al Sud un destino condiviso sembra possibile. La pace è la parola chiave, insieme all'accoglienza, ma sempre nel rispetto delle regole; nel rispetto di chi ospita, della sua terra inviolabile.

Terra degli ulivi.

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