Per non tornare all'inferno

Il 28 marzo 2020, mentre il Covid mieteva migliaia di vittime al giorno nel nostro Paese, scrissi che il governo giallorosso rischiava di essere giudicato da un tribunale della Storia.

Per non tornare all'inferno

Il 28 marzo 2020, mentre il Covid mieteva migliaia di vittime al giorno nel nostro Paese, scrissi che il governo giallorosso (grillini più Pd), rischiava di essere giudicato da un tribunale della Storia, cioè da una sorta - usai questa espressione per primo - di processo di Norimberga, per gli errori commessi nell'adottare le misure necessarie per contenere la pandemia. A tre anni da allora, quell'ipotesi si è materializzata con l'indagine che sta coinvolgendo il premier di allora Giuseppe Conte, il ministro della Sanità Roberto Speranza e tanti altri che ricoprivano ruoli di responsabilità in quel momento. Il dubbio legittimo che sorge, però, è se quelle scelte debbano essere giudicate con il metro della magistratura e non con quello della politica.

Io penso che sia molto più corretta la seconda strada, perché un conto è se la magistratura debba verificare, chessò, che nell'acquisto delle mascherine qualcuno non abbia speculato sulla tragedia arricchendosi sul piano personale; un altro, invece, è se per valutazioni squisitamente politiche, magari errate, abbia commesso degli sbagli nella gestione della pandemia. In quest'ultimo caso si tratterebbe, appunto, di responsabilità politiche e non penali.

Le ragioni per scegliere la strada della politica sono semplici. La prima è di principio: la politica non può permettere che sia la magistratura a giudicare le sue scelte (vale per Salvini, per Piantedosi ma pure per Conte e Speranza). Inoltre lo scopo non dovrebbe essere quello di una caccia al mostro per portarlo sul patibolo come a Norimberga, ma semmai quello di individuare errori, falle nel sistema, bachi nell'organizzazione, nelle procedure, nei meccanismi di reazione dello Stato per scongiurare il rischio che la prossima pandemia, il prossimo virus ci trascini di nuovo all'inferno.

Una classe dirigente seria si dovrebbe comportare così. E forse l'organismo più adatto sarebbe quello di una Commissione parlamentare d'inchiesta fatta, però, con uno spirito diverso rispetto alle tante che hanno costellato il passato, caratterizzate da caccia alle streghe, dispute ideologiche e polemiche politiche. Palcoscenici inutili, che sul piano dell'interesse del Paese hanno prodotto sempre poco e niente. Questo organismo dovrebbe stabilire chi ha il potere - e la responsabilità - di decidere una «zona rossa» sul territorio nazionale, cioè a rischio epidemia: se il governo centrale o gli enti locali, per evitare che in futuro continui la logica del rimpallo. Poi dovrebbe rendere perentorio l'obbligo di aggiornare ogni due anni il piano pandemico. Quindi, individuare gli organismi e gli strumenti d'indagine per decidere la strategia e il monitoraggio del contagio. E, ancora, individuare profilo e poteri degli organismi che dovrebbero garantire tutto ciò che serve a far fronte ad un'epidemia. Insomma, dovrebbe predisporre e organizzare quelle professionalità e competenze che sono mancate in quei due anni drammatici. Per dirla in una parola sola dovrebbe offrire al Parlamento la diagnosi per modernizzare il Paese su questo tipo di pericolo.

L'inchiesta giudiziaria, quindi, dovrebbe essere

uno stimolo alla politica affinché agisca: non una Norimberga, ma un momento per guardarsi allo specchio, capire cosa non ha funzionato ed evitare che dopo la tragedia, i morti e i danni economici tutto resti come prima.

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