La prima notte di Formigoni in cella "Coscienza a posto e animo sereno"

L’ex governatore nel carcere di Bollate: "Guardo il Milan in tv con gli altri reclusi"

La prima notte di Formigoni in cella "Coscienza a posto e animo sereno"

Milano «Ciao, Roberto». Formigoni è lì, nella cella che è la sua nuova casa. Il primo a visitarlo è un politico lombardo, uno che muoveva i primi passi all’epoca in cui il suo regno sembrava intramontabile. E che ora se lo ritrova davanti nel momento più buio della sua vita: condannato definitivo per corruzione, cinque anni e dieci mesi da scontare per intero. Come stai, gli chiede l’amico. «Sto bene», risponde. «Ho la coscienza pulita e l’animo sereno. Accetto le circostanze in cui mi viene chiesto di vivere». Pantaloni neri, la polo blu, le Adidas ai piedi. Formigoni è entrato in carcere alle dieci, sulla Bmw del suo legale. Come era logico, non ha aspettato che la polizia giudiziaria andasse a prenderlo a casa. Dal momento in cui, poco prima delle 21 di giovedì sera, ha saputo che la sua condanna era diventata irrevocabile, ha potuto preparasi materialmente e psicologicamente all’ingresso in prigione. Ha scelto la destinazione più ovvia: Bollate, alle porte di Milano, carcere dal volto - se possibile - umano: grandi spazi comuni, celle sempre aperte, attività continue per dare un senso alle giornate. Ed eccola, la sua nuova casa: terzo piano, reparto uno, stanza 315. Con lui ci sono due detenuti italiani di mezza età, le tre brande disposte a ferro di cavallo. A lui tocca quella centrale. Sul tavolo, un cesto di frutta. «Oggi ho mangiato solo quella - racconta Formigoni - perché quando entri qua dentro hai un sacco di cose da fare: le foto, le impronte, eccetera. Ma per stasera mi hanno già detto che cucineranno per me nella sala comune, mangeremo tutti insieme e poi guarderemo il Milan». La partita sulla durata della carcerazione non è ancora chiusa, i suoi avvocati hanno già depositato il ricorso alla Corte d’appello per chiedere che non gli venga applicato il decreto «spazzacorrotti». Per lui, dicono, deve valere quello che in gergo viene chiamato «comma Previti», la norma che garantisce agli ultrasettantenni, se non sono recidivi, la detenzione domiciliare. Deve poter scontare la pena a casa, dicono. La Procura generale ha già fatto sapere che si opporrà. Ma intanto, nella sua cella, Formigoni si prepara a una prigionia lunga. È stanco, provato, e si vede. Del processo, dei reati che gli vengono contestati e che l’hanno portato qui, non è il caso di parlare. Si è sempre proclamato innocente, ha sempre ricordato che tutte le decisioni che gli vengono attribuite venivano assunte collegialmente, dall’intera giunta regionale. Ma ormai è qualcosa che appartiene al passato. «Io ho la coscienza a posto», ripete. In mano ha un rosario, che non abbandona mai, e ne accarezza piano, quasi senza accorgersene, i grani. «Mi sono portato un paio di libri», racconta. Nella scelta c’è tutto Formigoni: uno è La banalità del male di Hannah Arendt, la celebre cronaca del processo ad Adolf Eichmann; l’altro è un manuale sull’industria 4.0. Come dire: l’importanza della responsabilità, l’importanza della modernità. Due fronti su cui si sono giocati la sua ascesa e il suo crollo. In un angolo della cella, una pianta rampicante. Attraverso le sbarre e la tenda filtra la luce limpida del febbraio milanese, e anche questo contribuisce a togliere un po’ di cupezza alla situazione. La cella è aperta, Formigoni si muove nel grande corridoio che presto gli diventerà familiare. «Buongiorno presidente», lo salutano gli altri detenuti, «come sta?». Non gli danno il benvenuto, perché da queste parti non si usa. Ma il senso è quello, il rito dell’accoglienza che in ogni carcere attutisce l’impatto ai «nuovi giunti». Nella cella 315, e anche questo è un piccolo rito, i due detenuti suoi compagni preparano a Formigoni il letto per la sua prima notte da detenuto. Quanto durerà è impossibile dirlo: perché sulla sorte del detenuto Formigoni si consumerà il primo scontro giudiziario sul decreto «spazzacorrotti». Si può applicare anche all’indietro, a reati commessi anni e anni prima, la legge che tratta i corrotti come i mafiosi e peggio degli assassini e dei violentatori, chiudendo qualunque accesso ai benefici carcerari? In un verso o nell’altro, il «caso Formigoni» è destinato a segnare un precedente. Dalla cella 315, tutto questo per ora appartiene a un domani ancora vago.

La quotidianità è quella che comincerà oggi, con il primo risveglio da prigioniero. «Mi dispiace - dice Formigoni al visitatore prima di salutarlo - per le sofferenze che senza volere ho causato a tanti amici là fuori». Cosa ti aspetti dal futuro? «Non ho paura. Male non fare, paura non avere».

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