"Quel 'morso' sul corpo a Via Poma. Vi dico cosa fa un odontologo forense"

Il professor Emilio Nuzzolese spiega a IlGiornale.it come un odontologo forense può ricostruire l'identità di un cadavere in avanzato stato di decomposizione ma anche le dinamiche di una violenza

"Quel 'morso' sul corpo a Via Poma. Vi dico cosa fa un odontologo forense"

Nel rinvenimento di un cadavere la figura dell'odontologo forense è di fondamentale importanza. La sua presenza è infatti necessaria quando, soprattutto di fronte a un corpo in avanzato stato di decomposizione, è necessario definirne il profilo biologico, come genere ed età, per poi risalire pian piano alla sua identità. Non solo: questo professionista interviene anche per valutare i maltrattamenti, i traumi ai tessuti orali e le lesioni da morso umano a scopo investigativo e, naturalmente, è al fianco del medico legale per valutare casi di malpractice.

Nel caso del ritrovamento di resti scheletrici il suo ruolo diviene molto particolare: il Dna che si trova nei denti resiste per tanti anni e anche ad alte temperature. Ma come opera questo professionista? "L’odontologo forense - spiega a IlGiornale.it il professor Emilio Nuzzolese - da solo oppure al fianco del medico legale, svolge attività peritali, didattiche e di ricerca nell’odontologia legale e forense". Emilio Nuzzolese è un odontoiatra forense e associato di Medicina Legale all’Università di Torino nonché consulente in diverse procure italiane. La perizia da lui emessa nel 2009 è stata determinante per l’assoluzione dell’unico imputato al processo per il noto e irrisolto caso del delitto di via Poma.

Chi è l’odontologo forense?

"L’odontologo forense è un odontoiatra con esperienza clinica che ha acquisito competenze e conoscenza in medicina legale, diritto e scienze forensi attraverso percorsi formativi mirati, come dottorati di ricerca, master e corsi di perfezionamento. L’odontologo forense, da solo oppure al fianco del medico legale, svolge attività peritali, didattiche e di ricerca nell’odontologia legale e forense. Questa studia i rapporti dell’odontoiatria con il Diritto e le evidenze dentali per finalità di giustizia, sia civile che penale. Una delle attività prevalenti dell’odontologo forense è l’identificazione personale di resti umani e soggetti deceduti non più riconoscibili visivamente".

Come avviene il processo di identificazione di un corpo in avanzato stato di decomposizione non più riconoscibile?

"L’identificazione umana forense è un complesso processo multidisciplinare che prevede tre fasi: raccolta di informazioni individualizzanti durante l’autopsia (impronte digitali, prelievo di Dna, informazioni dentali utili alla definizione del profilo generico del soggetto, e ogni altra peculiarità); raccolta di informazioni delle persone scomparse (dati antropometrici, odontoiatrici, radiografie, campioni di Dna, caratteri personali come cicatrici, tatuaggi, piercing e fotoritratti); la comparazione di queste informazioni per escludere i profili non compatibili e individuare la corrispondenza con quelli compatibili. L’autopsia orale, da non confondere con l’esame dentale, consente di pervenire alla preliminare identificazione ricostruttiva del corpo senza nome. La sua odontobiografia permette di individuare sesso, intervallo di età, origine geografica, abitudini voluttuarie e altre caratteristiche antropologiche dei denti e del cranio. Con l’identificazione ricostruttiva si riduce la lista delle persone scomparse compatibili per poi identificare definitivamente la salma, anche avvalendosi della corrispondenza dei dati dentali".

Per chiarezza, l’esame dentale cos’è invece?

"La differenza tra esame dentale e autopsia orale è nell’analisi e traduzione delle informazioni dentali. L’esame dentale rappresenta solo una raccolta di informazioni sui denti presenti, assenti, curati. Nell’autopsia orale invece, i dati sono raccolti anche attraverso rilievi radiografici e poi tradotti in un profilo biologico generico, quanto prima definivo anche odontobiografia, che rappresenta il punto di partenza per iniziare il processo identificativo. Solo un odontologo forense è abilitato all’esecuzione di rilievi autoptici odontoiatrici e di radiologia dentale".

Il suo intervento, attraverso l’analisi dei segni di morsicatura, permette di riscontrare reati sul corpo della vittima, quali violenza, abuso sessuale, maltrattamenti e anche omicidi. Ci può spiegare?

"Un altro coinvolgimento dell’odontologo forense è rappresentato dall’esame di evidenze da morsicature nei crimini. I morsi umani sono frequentemente riscontrati nelle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti e omicidi. Si tratta di lesioni che presentano alcune caratteristiche dei denti dell’aggressore che, in qualche caso, consentono di eseguire analisi comparative con i soggetti sospettati. Il fine è quello di fornire elementi complementari circa la compatibilità tra le arcate dentarie dei vari sospettati e la lesione da morsicatura. Il morso umano inferto per aggredire non è infatti importante ai fini di un’impronta dei denti, ma può contenere informazioni dentali che insieme all’esame del patologo forense e a tracce di Dna, può permettere di integrare elementi probatori con il fine di individuare l’aggressore. Si tratta di un’analisi con rischi di errori di valutazione, se eseguita senza un’elevata specializzazione dell’odontologo forense".

Parlando di segni da morsicatura, c’è un noto caso processuale in cui il suo intervento è stato determinante ai fini dell’assoluzione dell’unico imputato. Parlo del delitto di via Poma a Roma. Ci può raccontare?

"Sono stato il perito odontoiatra in tutti i gradi di giudizio nella difesa dell’unico imputato, ovvero Raniero Busco, per l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Tra le numerose lesioni rilevate sul corpo della vittima anche un’ecchimosi sul seno identificata dal medico legale nel 1990 come un morso inferto dall’aggressore durante l’azione omicidiaria. Riaprendo il caso giudiziario nel 2007 gli inquirenti hanno richiesto nuovi accertamenti tecnico-forensi che hanno portato a concludere si trattasse del morso dell’imputato. La lesione, studiata a distanza di 18 anni e sulle fotografie del 1990, è così diventata la prova regina che ha contribuito a condannare Busco a 24 anni in primo grado. Di contro, in secondo grado il parere del collegio dei periti nominati dalla Corte ha portato all’assoluzione, confermando quanto avevo già dimostrato circa l’insufficiente qualità delle fotografie e l’impossibilità di poter imputare la lesione univocamente a una causa. Inoltre da un punto di vista odontologico-forense, anche se si fosse trattato di un morso laterale, non era possibile collegarlo alla dentatura di Raniero Busco che, a sua volta, avrebbe lasciato tracce diverse rispetto a quelle analizzate".

E cosa accadde alla fine?

"Pertanto, contrariamente a quanto sosteneva l’accusa e persino il perito odontoiatra della parte civile, la lesione poteva non essere secondaria all’azione dei denti, ma alla lesività del fermacapelli trovato rotto accanto alla vittima. Il delitto di Via Poma è rimasto un caso irrisolto che ha aperto una riflessione sulla validità delle prove scientifiche e in particolare sull’analisi forense del morso umano. In futuro il mio auspicio è la creazione di un albo nazionale di periti odontoiatri esperti nell’odontologia forense a disposizione dell’autorità giudiziaria, con il fine di fare giustizia e prevenire errori giudiziari e improvvisazioni da parte di odontoiatri privi di specializzazione tecnico-forense".

Il suo ruolo è fondamentale anche per il riconoscimento delle vittime dei disastri. Ci spiega il perché e come opera in questi casi?

"I dati dentali consentono un’identificazione efficace e tempestiva in media nel 70% dei casi se l’autopsia orale è eseguita da esperti nell’odontologia forense. Questo include anche l’attività di identificazione delle vittime di disastri. Incidenti e catastrofi naturali purtroppo causano feriti e vittime. L’intervento di ricerca e recupero delle vittime, la raccolta di eventuali prove in caso di incidenti non accidentali e la messa in sicurezza dell’intero scenario, rappresentano una imponente operazione ‘multi-agenzia’ che ormai è sempre più spesso multinazionale".

Come funziona?

"Le perdite umane possono essere molto elevate e con caratteristiche diverse a seconda della tipologia di disastro. Molto diverse, ad esempio, le vittime di un incidente aereo, solitamente frammentate, rispetto alle vittime di un maremoto che restano intere ma subiscono altre alterazioni post mortali. In tutti i casi il processo di identificazione è codificato da procedure che prevedono sempre il coinvolgimento di operatori forensi, esperti nella raccolta e analisi di dati individualizzanti. Oltre a odontoiatri forensi, sono coinvolti medici legali, biologici forensi, antropologi forensi e tecnici delle impronte digitali. Il gruppo di tecnici interviene anche nella traduzione in codici universali delle informazioni delle persone coinvolte nel disastro, e nella comparazione dei dati fino a raggiungere una corrispondenza ed una certezza anche esaminando, eventualmente, elementi identificativi secondari, come tatuaggi, cicatrici, oggetti personali".

Lei è il responsabile del Laboratorio di Identificazione Personale della Medicina Legale dell’Università di Torino. Durante la pandemia ha ideato l’autopsia orale a distanza, coniandolo con il termine virdentopsy. Può descriverci il processo?

"La pandemia da Covid-19 ci ha permesso di sperimentare l’utilizzo del teleconsulto anche nell’odontoiatria forense e, in particolare, nell’autopsia orale a distanza ai fini di una identificazione personale. Se l’identificazione di un corpo senza nome non può prescindere dal coinvolgimento di uno o più odontoiatri forense, l’autopsia orale virtuale, che abbiamo denominato virdentopsy (virtualdentalautopsy), permette di conservare le migliori pratiche tecnico-forensi, anche in un impiego umanitario, grazie all’invio di riprese video e radiografie e alla diretta streaming e realtà aumentata. Il Laboratorio di Identificazione Personale e Odontologia Forense sta sperimentando il processo della virdentopsy con colleghi dell’India, Nepal, Pakistan, Perù, Siria e Sudan. Lo abbiamo già presentato in numerose conferenze, tra le quali l’incontro 2021 Interpol sulla identificazione delle vittime di disastri e il congresso internazionale dell’American Academy of ForensicSciences di febbraio 2022".

Lei è stato uno dei primi operatori forensi a sottolineare l’importanza dei diritti umani dei corpi senza nome, evidenziando la necessità di non dimenticare le famiglie delle persone scomparse. Come nasce questo coinvolgimento?

"Ho sviluppato l’interesse nella medicina legale e nel diritto già dal 1995, iscrivendomi all’albo dei consulenti tecnici presso il Tribunale di Bari, ma la passione per l’odontologia forense deriva dall’incontro, poi diventato profonda amicizia, con il professor John Clement dell’Università di Melbourne in Australia, nel 2003. I nostri numerosi confronti sul possibile futuro dell’odontologia forense, soprattutto nell’ambito dell’identificazione, ci ha portato a fare riflessioni sul significato dell’autopsia orale e sull’importanza di restituire un’identità a un cadavere, rispettando i diritti umani della famiglia di poter elaborare il lutto e, per la salma, di ricevere un funerale nel rispetto del suo credo religioso. È quanto provo a trasmettere nei corsi che organizziamo nella sezione di medicina legale dell’Università di Torino".

È d'aiuto per chi resta.

"Non a caso, dalla collaborazione con l’associazione Penelope Italia, che sostiene le famiglie delle persone scomparse, abbiamo anche sviluppato l’odontologia forense umanitaria, fino alla creazione di periti volontari che intervengono gratuitamente quando vengono ritrovati resti umani. E colgo l’occasione per ringraziare tutti i miei colleghi della rete internazionale di esperti chiamata Odontologia Forense per i Diritti Umani (Forensic Odontology for Human Rights), di cui sono orgoglioso fondatore, per il loro impegno nelle scienze forensi umanitarie".

Qual è il suo auspicio?

"L’elevato numero di corpi senza nome, solo in Italia sono oltre 2600, è oggetto di confronto in diversi tavoli tecnici di esperti e l’odontoiatra forense dovrebbe trovare una più giusta collocazione, proprio perché risorsa insostituibile nell’identificazione.

La passione e il dovere morale di continuare a occuparmi di odontologia forense e di odontoiatria sociale, ha l’obiettivo di ampliare la tutela dei diritti umani delle persone vulnerabili e dei morti, attraverso collaborazioni e applicazioni delle nuove tecnologie".

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