Asia regina dei tranvieri

8 marzo di scioperi: oggi il Paerse si ferma (di nuovo) anche per le donne

Asia regina dei tranvieri

Come la Marianne che guida il popolo nella celebre tela di Delacroix, così Asia Argento si è messa in testa al corteo di tranvieri e conduttori di autobus. L'8 marzo diventa l'ennesima occasione per una giornata di riposo, guai a lasciarsela sfuggire. Del resto, è notoria la sensibilità iperfemminista dei sindacati - Usb, Usi lavoro privato, Cobas e Cub trasporti - che con la propria adesione alla mobilitazione «Lotto marzo» rischiano di paralizzare le principali città italiane. Sulla pagina Facebook dedicata allo «Sciopero globale delle donne», un'attivista domanda con arguzia: «Ma se i trasporti raccolgono l'appello a fare sciopero, come ci arrivano le donne al corteo???». Eh già, come ci arrivano? Lo sciopero che è insieme «femminista, sociale e politico» impone «l'astensione da qualsiasi attività produttiva o riproduttiva, formale o informale, retribuita o gratuita». È la versione aggiornata dello sciopero di Lisistrata che nella commedia di Aristofane sobilla le ateniesi contro i rispettivi mariti: basta rapporti sessuali fin quando gli uomini, ostinati guerrieri, non firmeranno la pace ponendo fine alla guerra del Peloponneso. «Il #wetoo - dichiara la Argento - è la conseguenza naturale del #metoo. Perché le donne oggi credono alle altre donne. Ora insieme riusciremo a cambiare questo patriarcato così radicato nella nostra cultura e che da sempre cerca di opprimere la nostra libertà, le nostre scelte di vita». Slogan e appelli risentono inevitabilmente del caso Weinstein, l'attrice italiana è stata tra le prime a denunciare, in una clamorosa intervista al New Yorker, di essere stata «stuprata» dal decaduto produttore americano (ammettendo pure di avere intrattenuto con il «mostro» una relazione durata cinque anni, dettagli). È palese l'ambiguità insita in un movimento globale che ha fatto del «risentimento di genere» il suo tratto distintivo inaugurando una vera e propria caccia al maschio, colpevole di ogni nefandezza, come se avance sguaiate e stupri fossero, in qualche misura, equiparabili. Nel caso dello «sciopero femminista», valorizzato dalla massiccia partecipazione di ferrotranvieri votati alla causa rosa (e forse non sufficientemente edotti circa il dovere di astensione da ogni «attività riproduttiva»), balza agli occhi l'insistenza ossessiva su un singolo tema, la violenza di genere, a scapito di ogni altro. Ci lamentiamo che le donne non lavorano e che, quando lavorano, non godono di sostegni adeguati per conciliare impiego e maternità, e poi proponiamo di incrociare le braccia come atto di protesta? E che dire del diritto alla salute riproduttiva, della sacrosanta libertà di scegliere se e quando diventare madri, una prerogativa oggigiorno a repentaglio nel paese dove sette ginecologi su dieci si professano obiettori? Nei manifesti e negli appelli in circolazione non vi è traccia di tali istanze, come se i problemi quotidiani con cui le donne italiane devono fare i conti fossero davvero i tentativi di stupri e molestie a ogni angolo della strada.

Piuttosto che incrociare le braccia e serrare le gambe, le paladine del #wetoo dovrebbero calarsi nella realtà e scrollarsi di dosso le pastoie ideologiche che ottenebrano la mente: questa concezione antagonistica del rapporto tra maschio e femmina è fuori del tempo. L'8 marzo è la festa delle donne normali che desiderano lavorare, innamorarsi, sorridere alla vita anche quando essa è faticosa. Il sorriso è più rivoluzionario del risentimento. Ricordiamoci pure oggi di sorridere.

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