Sono stati tutti assolti gli imputati al processo per l’omicidio di Serena Mollicone, avvenuto nel 2001. Si tratta dell’ex maresciallo Franco Mottola, con il figlio Marco e la moglie Anna Maria, oltre che i due carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.
La sentenza
La pronuncia della sentenza ha scatenato tra le parti diverse reazioni nell'aula del tribunale di Cassino. Da un lato gli abbracci per gli assolti, dall’altro le urla “vergogna” da parte di coloro che non credevano all’innocenza degli imputati. Secondo l'ufficio giudiziario, "questa Procura prende atto della decisione che la Corte di Assise nella sua libertà di determinazione ha scelto. È stato offerto tutto il materiale probatorio che in questi anni tra tante difficoltà è stato raccolto. La Procura di Cassino non poteva fare di più".
La sentenza è arrivata dopo che stamattina la pm Beatrice Siravo aveva chiesto che fosse ascoltato un testimone a sorpresa, Ramon Ionmi, un barbiere che aveva affermato di aver fatto le meches a Marco Mottola a maggio 2001 e avergli tagliato i capelli un paio di giorni prima del funerale di Serena. La richiesta è stata però rigettata.
In tribunale erano presenti anche Valerio e Marina Vannini, i genitori di Marco che nel 2015 morì a Ladispoli, a casa della famiglia Ciontoli, che è stata condannata anche per la strenua battaglia legale dei Vannini.
La scomparsa e la morte
Serena Mollicone scomparve da Arce il 1 giugno 2001. Il suo corpo venne trovato due giorni dopo, il 3 giugno, in un’area boschiva della frazione Fonte Cupa. Il cadavere era stato legato mani e piedi con scotch e fil di ferro, la testa avvolta in una busta di plastica e da scotch, lasciando presagire che la morte sia avvenuta per asfissia meccanica.
Serena aveva 18 anni e stava per diplomarsi al liceo socio-pedagogico. Suonava il clarinetto, aveva una relazione con un ragazzo più grande e viveva con il padre Guglielmo. La mamma era morta quando Serena era una bambina, mentre la sorella Consuelo si era trasferita a Como per lavoro.
Le indagini
Le indagini avevano ipotizzato che Serena sia stata uccisa all’interno della caserma dei carabinieri di Arce, dove si sarebbe recata il giorno della sua scomparsa per denunciare Marco Mottola, figlio dell’allora maresciallo dei carabinieri, per droga.
L’arma del delitto sarebbe stata una porta della caserma: la testa della giovane vi sarebbe stata fatta sbattere contro, secondo l’accusa. Si è giunti a quest’ipotesi grazie ai rilevamenti del Ris, ma soprattutto dopo le circostanze misteriose che circondarono il suicidio del carabiniere Sabino Tuzi l’11 aprile 2008. Il militare, pochi giorni prima di morire, era stato ascoltato dagli inquirenti e aveva detto che una ragazza corrispondente alla descrizione di Serena si era recata in caserma il 1 giugno 2001.
A seguito delle indagini erano state rinviate a giudizio 5 persone: Franco, Marco e Anna Maria Mottola, rispettivamente ex maresciallo, figlio e moglie, oltre che i carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. Per i Mottola erano stati chiesti 30, 24 e 21 anni di carcere per omicidio, mentre gli altri due militari erano stati accusati di concorso in omicidio e favoreggiamento.
Il dibattimento in tribunale
Il processo è iniziato quasi venti anni dopo la scomparsa della giovane, il 19 marzo 2021. Non vi ha potuto assistere Guglielmo Mollicone, papà di Serena che si è sempre battuto per avere giustizia e che è scomparso il 21 maggio 2020.
Il lavoro compiuto dai legali delle diverse parti è stato considerevole. Secondo gli avvocati di Consuelo, Sandro Salera e Antony Iafrate, i segni trovati sugli occhi e la bocca di Serena avrebbero indicato chiaramente la dinamica della morte e come la porta sia stata l’arma del delitto. “Quei calchi - hanno spiegato - rappresentano per questo processo il film di come la testa di Serena ha impattato la porta. Guglielmo Mollicone lo aveva detto: il corpo di Serena ha parlato”.
La pm Beatrice Siravo ha cercato di smontare anche l’alibi dei Mottola, affermando che “venti minuti bastano ai Mottola per portare il cadavere di Serena nella radura di Fonte Cupa e tornare in caserma”, sottolineando come nell’alibi ci potesse essere appunto un buco di una ventina di minuti. La pm si è anche concentrata sull’atteggiamento dei Mottola, ma tutte le ipotesi sono state avversate dai legali della famiglia. L’avvocato Francesco Germani ha infatti evidenziato come “quei comportamenti non si sono verificati”, facendo riferimento ai presunti depistaggi e al fatto che Franco Mottola non abbia mai cercato di sostituire la porta, presunta arma del delitto.
I legali dei Mottola hanno anche sfoderato una lettera che avrebbe smontato il presunto movente. La missiva, datata 1997, conterrebbe determinate parole scritte da Serena: “Oggi pomeriggio ho fumato una canna... su che quando vieni anche tu ci facciamo una canna insieme”. Secondo l’avvocato Mauro Marsella, Serena non avrebbe potuto denunciare Marco Mottola per droga, avendo fatto anche lei uso di stupefacenti. “Il movente sembra sia sparito, un processo per omicidio senza un movente non esiste”, ha dichiarato Marsella.
L’avvocato della famiglia Mollicone, Dario De Santis, ha cercato di demolire la prova addotta dalla difesa, affermando che non potesse essere provato
che quella lettera sia stata scritta da Serena, e anche lo fosse racconterebbe di un uso occasionale avvenuto 4 anni prima, un periodo che per un’adolescente rappresenterebbe “una vita prima”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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