"Un killer sadico e vendicativo". Così è scattata la furia omicida a Lecce

Il 21enne aveva premeditato l'omicidio nei minimi dettagli. Trovati i pizzini con le regole da seguire per torturare i giovani

"Un killer sadico e vendicativo". Così è scattata la furia omicida a Lecce

Antonio De Marco era il classico ragazzo della porta accanto: faccia pulita, studente modello, tutto studio e tirocinio all'ospedale Vito Fazzi di Lecce. Un'immagine confortante che stride con il "compiacimento sadico" descritto dagli inquirenti a cui ha confessato l'omicidio di Daniele De Santis ed Eleonora Manta, i due fidanzati trovati morti nella palazzina di Via Montello il 21 settembre. De Marco si era trasferito a Lecce due anni fa per studiare Scienze infermieristiche. Originario di Casarano, nel paese a 50 chilometri dal capoluogo salentino lo vedevano di rado. Il 21enne timido e introverso ci ritornava raramente proprio per concentrarsi sullo studio e il tirocinio all'ospedale di Lecce. Un'applicazione quasi maniacale che ha replicato con macambra efferatezza anche nella pianificazione e nella messa in pratica del duplice omicidio, consumato in soli dieci minuti secondo fonti invedtigative. A cui a Casarano ancora non riescono a credere. Soprattutto perché incompatibile con la famiglia di Antonio, i genitori Salvatore e Rosa e una sorella che vive fuori. Persone per bene, molto stimate nel paese e amate dai vicini di casa.

"Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia", avrebbe detto agli investigatori De Marco, come riportato dal Corriere della Sera.

Il piano sadico

Nell’ordinanza di convalida del fermo si parla addirittura di "compiacimento sadico", di un "pericolo di recidiva per estrema pericolosità dell’indagato" e di "un’indole particolarmente violenta, insensibile ad ogni richiamo umanitario: nonostante le ripetute invocazioni a fermarsi urlate dalle vittime l’indagato proseguiva nell’azione meticolosamente programmata inseguendole per casa, raggiungendole all’esterno senza mai fermarsi". Nessun segno di pentimento, anzi, al momento del fermo all'ospedale di Lecce Antonio De Marco si era addirittura messo a ridere. Il ragazzo ha inferto oltre 60 coltellate alle due vittime in meno di dieci minuti. "Nonostante le ripetute invocazioni a fermarsi urlate dalle vittime, l'indagato proseguiva nell'azione meticolosamente programmata per casa, raggiungendole all'esterno senza mai fermarsi", scrive la procura motivando le esigenze cautelari. Non solo lucido e spietato. De Marco aveva premeditato tutto nei minimi dettagli in cinque foglietti con un vero e proprio "cronoprogramma dei lavori". Prima immobilizzare, poi torturare e uccidere. E, infine, ripulire tutto con "acqua bollente, candeggina, soda". Un piano diabolico, ma anche un'azione dimostrativa da siglare con una scritta sul muro che servisse da monito per la città. Un messaggio che però poi non ha scritto. Il ragazzo si era procurato anche delle striscette stringitubo e un cappuccio ricavato da un paio di calze di nylon da donna, che dovevano servirgli a torturare le vittime prima di finirle e portare a termine il suo folle progetto di vendetta. Nei bigliettini, rivelano gli inquirenti, c'era la mappatura e alcune raccomandazioni che faceva a se stesso: pulire le tracce di sangue, rassettare il locale, sfuggire alle inquadrature delle telecamere di sorveglianza. Poi le cose non sono andate come aveva pianificato. Non aveva fatto i conti con una telecamera ad alta definizione, che lo ha ripreso in volto e incastrato lungo il tragitto. "Ma da quanto mi stavate pedinando?", ha detto, quasi stupito di essere stato rintracciato, ai carabinieri che, lunedì sera, lo hanno bloccato mentre usciva dall'ospedale.

La dinamica dell'assassinio

Nel decreto di fermo, firmato dal pubblico ministero Maria Consolata Moschettini, viene raccontato anche il disperato tentativo di Daniele di chiedere aiuto. "Alle 20.47 del 21 settembre era stato effettuato uno screenshot ritraente la schermata dello schermo bloccato. Avendo rinvenuto il dispositivo in questione nel locale cucina, sporco di sangue - scrive il sostituto procuratore - si può desumere che Daniele, dopo essere stato ferito, abbia tentato invano di chiamare aiuto mediante il telefono, ma di fatto non sia riuscito a sbloccare il dispositivo e, nello stringere in mano lo smartphone, abbia schiacciato involontariamente i pulsanti che hanno eseguito lo screenshot in questione". Antonio De Marco doveva avere le chiavi. "Poiché il primo fendente è stato dato all'interno della cucina abbiamo ritenuto che fosse entrato, che non fosse stato ricevuto sul ballatoio, e doveva avere le chiavi". A dirlo è il comandante provinciale dei carabinieri di Lecce Paolo Dembech rispondendo alle domande dei giornalisti davanti alla caserma di via Lupiae dopo il fermo del 21enne. "Sentiti tutti gli inquilini del condominio è emersa più di qualche persona che si era avvicendata. La problematica sussisteva perchè la locazione era in nero, non c'era registrazione di questo contratto. Ci è venuto incontro un testimone oculare, uno dei pochi, cioè Andrea - ha spiegato- l'inquilino del piano di sotto, ed è a lui che è riferibile la frase che all'inizio ci ha fatto pensare che questo Andrea fosse riferito all'assassino conosciuto dalla coppia, la quale lo pregava di non colpirli ancora". Non si trattava di invocazioni all’omicida, ma la richiesta di aiuto verso uno dei vicini di casa.

Il movente

La freddezza pianificatrice dell'assassino dei due fidanzati di Lecce emerge anche in un post su Facebook dello scorso 3 luglio, accompagnato da due faccine sorridenti. "La vendetta è un piatto da servire freddo... è non risolve il problema ma per pochi istanti ti senti soddisfatto", ha scritto il 21enne. Un piano ritorsivo messo nero su bianco. Il movente, invece, sarebbe ancora da chiarire. Secondo gli investigatori De Marco si sarebbe voluto vendicare per qualcosa successa nel 2019, in particolare da ottobre a novembre quando Antonio ha abitato la casa di Daniele De Santis (e per questo poteva avere ancora le chiavi dell’appartamento), che era solito affittare a studenti una o due stanze. A far maturare il desiderio di vendetta potrebbe essere stata proprio una lite tra Antonio ed Eleonora che poi avrebbe portato Daniele a rifiutarsi di prolungare il contratto di affitto una volta giunto a scadenza. Un'ipotesi poi smentita dal comandante provinciale dei carabinieri di Lecce Paolo Dembech che ha, però, precisato come il movente resti da ricercarsi in qualcosa che ha a che fare con la coabitazione. "Qualcosa gli ha dato fastidio, ascrivibile a un senso di invidia a una gelosia per la felicità, la solarità, la gioia di vivere di questi giovani che non riconosceva in se stesso, nelle poche amicizie che aveva. Situazione interiore che è culminata in un'azione vendicativa al punto tale da predisporre nei minimi dettagli il piano per portare a termine il duplice omicidio", ha aggiunto. Il caso, però, non è ancora risolto. La maggiore difficoltà per chi indaga è ricostruire il movente. Il comandante Dembech, esclusa la pista passionale, è convinto che ci sia stato un evento scatenante: "Qualcosa che gli ha dato fastidio". Per questo si continua a scavare nei rapporti tra l'assassino e la coppia.

Le chat tra vittime e carnefice

È dall'analisi del cellulare di Daniele De Santis che gli investigatori hanno ricostruito i rapporti dei due fidanzati con il loro assassino. Memorizzato come "Ragazzo infermiere Via Montello", aveva iniziato a chattare con l'arbitro su Whatsapp il 29 ottobre 2019 fino al 17 agosto scorso. Tra i messaggi ce n'è uno in cui il 21enne conferma l'idoneità dell'appartamento, vicino alle fermate degli autobus. Il 6 luglio scorso, come riportato nel decreto di fermo dal pubblico ministero Maria Consolata Moschettini, De Marco scrive sempre su whatsapp a De Santis per richiedere la disponibilità della stessa stanza nella quale aveva già alloggiato per motivi legati alla frequenza del tirocinio universitario. Lo stesso giorno, sulle utenze delle vittime, rimaneva memorizzata una chat nel corso della quale, dopo che De Santis aveva preannunciato alla fidanzata Eleonora la richiesta di locazione "dell'infermiere", entrambi commentavano con una risata il possibile ritorno del ragazzo. E la ragazza commentava "torna tutto come prima", aggiungendo un segno a indicare una risata.

La chiamata del supertestimone

"Salve, sto sentendo delle grida, tipo una lite domestica violenta, tra viale don Bosco e la parallela, ci sono delle palazzine, si sentono delle grida allucinanti, proprio con una violenza inaudita". Le indagini sono partite proprio da questa telefonata delle 20.45 al 112 di Luixhi, cittadino albanese di 28 anni e residente a Lecce, vicino di casa di Eleonora e Daniele. È il supertestimone che con la sua descrizione dettagliata (confermata anche dalle telecamere di alcuni esercenti privati della zona che hanno filmato anche il marciapiede opposto che Antonio De Marco, erroneamente, riteneva sicuro) ha contribuito in maniera determinante alla risoluzione del caso. "Dall’abitazione è uscito un uomo armato, incappucciato e sta tentando la fuga verso Porta Rudiae, dalla zona dell’Acquedotto. Ha un coltello, un coltello - ripete due volte - ed anche uno zaino, uno zaino grande".

I racconti drammatici dei vicini

"Quella sera ero in giro con il cane, c'era un silenzio assoluto, intorno alle otto e mezza c'era pochissima gente quando all'improvviso ho sentito l'urlo più forte che abbia sentito in vita mia. Un urlo di terrore, quello di una donna, accompagnato poi da pianti, rumori di vetri infranti". Così Luigi, 27 anni, racconta all'Adnkronos gli attimi concitati vissuti il 21 settembre scorso dal suo appartamento, proprio di fronte a quello dei due fidanzati uccisi. "Le prime sensazioni che ho provato sono state di confusione, ho chiamato il 112 ma mai avrei immaginato qualcosa in più di una lite domestica - continua - Inizialmente ho dato un'informazione vaga al centralinista sulla zona, perché sentivo più che altro l'eco delle urla. Continuando a passeggiare ho capito che si trattava del civico 2 di via Montello e ho richiamato per aggiornarli. Ma nel giro di dodici minuti, dalle 20.45 alle 20.57 del 21 settembre, alle forze dell’ordine arrivano altre10 telefonate che descrivono quello che sta accadendo nella palazzina di via Montello. "Sto sentendo delle grida... si sentono delle grida allucinanti, proprio con una violenza inaudita". "Che stai facendo? Ci stai ammazzando". "Basta". "Lo zainetto è sul marroncino, la felpa nera.

E ha anche dei guanti neri". Poi l’ultima raccomandazione: "Mandate un’ambulanza perché ho visto...". E qui i racconti si interrompono. Ma gli investigatori ormai hanno tutti i dettagli per ricostruire fisionomia e identità di Antonio De Marco.

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