Cronache

M5s e il falso mito dei "talebani buoni"

Per il MoVimento 5 Stelle ora in Afghanistan bisogna dialogare con i "talebani". La posizione di Conte rientra nella tradizione grillina

Conte e i "talebani buoni". Esplode la polemica

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Credere ai "talebani buoni" sta diventando d'uso comune per il MoVimento 5 Stelle ed affini. L'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte è convinto che il "nuovo regime" in Afghanistan stia assumendo "un atteggiamento abbastanza distensivo".

Una convinzione che stona parecchio con i 35 morti riportati ieri da drammatici bollettini. Sparatorie, distruzione sistemica di statue, vendette su chi manifesta per la conservazione dei diritti acquisiti durante vent'anni: se questa è la dialettica dei talebani, l'Occidente ha poco da sperare. Insomma, tra le favole e la realtà c'è una bella differenza. Lo ha notato Luciano Nobili d'Italia Viva, che su Twitter ha scritto che: "Dopo 5 giorni arrivano le parole di #Conte su #Afghanistan Come il suo guru Travaglio crede alla favola dei talebani buoni. Era meglio l’imbarazzante silenzio".

Ma l'ex giallorosso e gialloverde, in linea con la stampa amica, ha una visione aperturista: "Quello che è certo - ha detto ieri l'avvocato di Volturara Appula, come riporta la Lapresse - è che adesso abbiamo solo le armi della diplomazia, del sostegno economico e finanziario e dobbiamo coltivare un serrato dialogo col nuovo regime, che appare, quantomeno a parole, da alcuni segnali che vanno tutti compresi, su un atteggiamento abbastanza distensivo". Le posizioni di Giuseppe Conte tendono a variare, dunque si può ipotizzare che tra qualche mese l'ex premier affermi l'esatto contrario. Ma per ora le dichiarazioni sulla questione afgana strizzano l'occhio al MoVimento delle origini e ad una certa impostazione.

Sì, perché tra i più attivi nel commentare la tragedia dell'Afghanistan c'è Alessandro Di Battista, che dal MoVimento 5 Stelle è uscito, ma che prima o poi potrebbe rientrare tra le fila pentastellate. Conte, come ha scritto Il Giornale, lo corteggia in relazione al collegio romano di Primavalle. Forse anche per coprire il lato sinistro del campo grillino, che sta rimanendo scoperto a forza di governismo e riforme mal digerite dalla base. Capiamoci: l'ex pentastellato ha scritto su Facebook di non avere alcuna simpatia per i talebani. E la posizione dell'ex deputato sull'Afghanistan è nota: sulla scia del non interventismo di stampo terzomondista, è la guerra in Afghanistan in sé, per "Dibba", che sarebbe stata inutile ed anzi "sporca", oltre che mal raccontata. Ma basta riavvolgere il nastro per riportare alla mente l'impostazione di cui sopra.

Era l'agosto del 2014 ed Alessandro Di Battista balzava sulle cronache per aver scritto che "Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà". L'intervento, nelle sue complessità, si legge ancora sull'Adnkronos. Quella dei grillini non è una passione per i regimi, ne siamo certi.

Pure in quella circostanza, il dogma presentato dall'universo grillino era quello del dialogo: "Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita, il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore", aveva aggiunto l'ex parlamentare sul blog di Beppe Grillo. Qualcosa di assonante con la fiaba dei "talebani buoni" che oggi viene rilanciata da più parti e che Conte asseconda quando parla di "atteggiamento abbastanza distensivo". É una diatriba antica questa tra la dialettica a tutti i costi e la difesa della propria identità, ma la linea del "rinnovato" grillismo sembra propendere per il primo paradigma.

Del resto, sul blog di Beppe Grillo, qualche giorno fa è spuntato un articolo a firma del vicecapogruppo del MoVimento 5 Stelle al Senato Gianluca Ferrara. Una riflessione in cui si legge che "purtroppo nei mesi scorsi non si è voluto davvero trattare con i talebani e ora si preferisce nuovamente la guerra, seppur per procura, al dialogo". Un altro caso in cui si dà per scontato che dialettica con i talebani sia possibile.

Un ragionamento che non può che passare per la favola del "cambiamento" dei fondamentalisti.

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