Cronache

Le parole perse e da ritrovare

A un anno dall'inizio della pandemia e della segregazione l'unica libertà uscita indenne da quella sorta di oscurità che ci ha avvolto è stata quella di proferire parole

Le parole perse e da ritrovare

«Nell'oscurità le parole pesano il doppio» (Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura 1981). A un anno dall'inizio della pandemia e della segregazione l'unica libertà uscita indenne da quella sorta di oscurità che ci ha avvolto è stata quella di proferire parole. Alcune le abbiamo coniate, altre rimosse, altre ancora strozzate in gola nei momenti più bui, quasi a non volere profanare il silenzio delle nostre città deserte perché, a ben pensarci, anche il silenzio parla e dice di noi.

Abbiamo volontariamente ristretto il nostro vocabolario? Può essere, anzi è successo: toccarsi, ballare, vedersi, festeggiare, cantare e tifare per fare qualche banale esempio sono parole che non abbiamo pronunciato se non per lamentarci della loro improvvisa assenza dalle nostre vite. È una cosa grave? È così, punto. Del resto al fronte i soldati non brillano per eloquio, nelle corsie di un ospedale non rimbomba alcun vociare, in chiesa si ascolta in silenzio: laddove c'è rischio e solennità le parole non si contano, per dirla alla Canetti, ma si pesano. I dieci comandamenti, per capirci, ne contengono solo 279, la Dichiarazione d'Indipendenza americana 300, mentre le disposizioni della Comunità Europea sull'importazione di caramelle esattamente 25.911.

Ecco, questo non è tempo di caramelle, ma di meno bla bla e più ascolto. Le parole hanno un senso e un valore non perché pronunciate o scritte, ma solo se ascoltate e lette, cioè se utili a chi le riceve. In questo momento, «vaccino» vale più di «concerto», «cautela» di «divertirsi», «famiglia» di «baldoria». Dobbiamo farcene una ragione e quindi ascoltare le parole salvifiche della scienza, quelle sagge di chi la vita l'ha attraversata scansando insidie di ogni genere, parole anche scomode che solo dodici mesi fa ci sarebbero scivolate addosso perché giudicate desuete, vuote e retoriche, altre contestate in quanto restrittive di libertà che ritenevamo intoccabili.

In un tempo futuro, che mi auguro non lontano, ricorderemo queste mutilazioni come i nostri nonni reduci raccontavano le privazioni della guerra. E racconteremo a figli e nipoti di aver vissuto sì prigionieri, ma di esserci alla fine liberati. Verrà di nuovo il tempo delle parole in libertà e pure della benedetta leggerezza del vivere. Torneremo ad usare tutto il vocabolario, anche se, a ben pensarci, una cura dimagrante, se ben gestita, non ha mai fatto male a nessuno, semmai il contrario. Chissà che questa pandemia non ci aiuti a dare un valore alle parole, che poi è dare un valore anche a se stessi perché ognuno di noi assomiglia molto a ciò che dice.

Buon 2021 a tutti voi e grazie di averci accompagnato in tutto questo difficile anno.

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