Coronavirus

Pfizer vuol fare la terza dose. Ma l'Fda: "Perché non serve"

Mentre la Pfizer "aggiorna" il proprio vaccino contro la variante Delta, l'Fda americana non ci sta: "Non saranno le singole aziende a decidere come e quando dovrà farsi il richiamo"

Pfizer vuol fare la terza dose. Ma l'Fda: "Perché non serve"

Per far fronte alla variante Delta del Covid-19, Pfizer e BioNTech hanno annunciato che stanno sviluppando una versione aggiornata del vaccino che sia efficace anche contro questa nuova mutazione del virus che, secondo l'Oms, diventerà prevalente in tutto il mondo.

Perché Pfizer vuole la terza dose

I primi risultati della sperimentazione clinica sono esaltanti: una terza dose aumenterebbe il livello degli anticorpi da 5 a 10 volte di più contro il ceppo originario e la variante Beta rispetto alle prime due dosi e, di conseguenza, anche sulle altre varianti Delta compesa. La Pfizer intende pubblicare i dati definitivi anche in una rivista specializzata per essere sottoposti a revisione paritaria. L'azienda ha fatto sapere anche che, dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale (due dosi), l'efficacia degli anticorpi prodotti dal vaccino calano nonostante siano ancora sufficienti a prevenire forme gravi di malattia. ​Mikael Dolsten, direttore scientifico di Pfizer, ha affermato che le criticità che sta vivendo Israele con i nuovi contagi sarebbero dovute ad infezioni nelle persone vaccinate a gennaio o febbraio. "Probabilmente sussiste il rischio di reinfezione perché gli anticorpi, come previsto, diminuiscono", si legge sul Corriere. Israele, infatti, ha appena dichiarato di aver visto calare l’efficacia del vaccino Pfizer dal 90 al 64% con la diffusione della variante Delta. Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer e l'ideatore del vaccino ad Rna, crede che "le persone avranno bisogno di una dose di richiamo di vaccino anti Covid-19 ogni 12 mesi e che l’azienda sta sviluppando una versione aggiornata del vaccino che prende l’intera proteina spike della variante Delta".

L'Fda: "Non serve"

In modo per certi versi sorprendente, Food and Drug Administration ed i Centers for Disease and Control (CDC) degli Stati Uniti hanno dichiarato che "gli americani completamente vaccinati non hanno bisogno di una dose di richiamo in questo momento", sottolineando che non dovranno essere le aziende a decidere quando e come il richiamo sarà necessario. "Continuiamo a rivedere tutti i nuovi dati non appena saranno disponibili e terremo il pubblico informato. Siamo preparati per dosi di richiamo se e quando la scienza dimostrerà che sono necessarie", si legge nel comunicato. Probabile che gli enti regolatori americani vogliano aspettare i risultati di ulteriori studi e scoprire se, con la doppie dose, la memoria immunitaria possa rimanere più a lungo nel tempo o, chi lo sa, magari per sempre come avviene per tante altre malattie.

Le criticità della dose di richiamo

Pfizer, comunque, va per la sua strada ed ha richiesto l'autorizzazione sia all'Fda americana che all'Ema, Agenzia Europea del Farmaco. Ricordiamo che la Von der Leyen alcune settimane fa ha annunciato che l'Europa ha acquistato ben 180 milioni di dosi di vaccino per i prossimi due anni, 2022 e 2023. In ogni caso, l'eventuale autorizzazione degli enti regolatori non significherebbe che, in automatico, alla popolazione sarebbe proposta una nuova dose ed i motivi sono molteplici: buona parte della gente occidentale non ha ancora completato il ciclo vaccinale (alcuni non lo hanno nemmeno iniziato), per non parlare delle zone più povere del mondo che non hanno ancora visto un vaccino. È probabile, quindi, che deciderà ogni Stato per conto proprio e che, come all'inizio della campagna vaccinale, sarà data priorità alla popolazione anziana, più fragile e chi è con patologie.

Cos'è la memoria immunologica

Anche se con il passare del tempo gli anticorpi diminuiscono, una parte del nostro organismo conserva una sorta di "memoria" che si riattiva quando dovesse incontrare lo stesso agente virale: tutto merito delle cellule T che stimolano la produzione degli anticorpi contro Sars-Cov-2 quando incontrano il virus ma, in generale, quando incontrano i virus (basti pensare a morbillo, varicella, ecc).

Alcuni studi hanno dimostrato come numerosissime persone abbiano sviluppato l’immunità delle cellule T rispetto a quelle che sono in grado di rilevare gli anticorpi "classici" con i test sierologici: per questo motivo, entro il prossimo autunno dovrebbero essere pronti alcuni kit che misurano la risposta dei linfociti T per capire chi, anche con pochi anticorpi, possa mantenere una risposta efficace grazie alla memoria immunologica.

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